La memoria che dimentica

La Giornata della Memoria ha lo scopo di ricordare le vittime dell’olocausto, ma dovrebbe anche essere un momento per guardarsi in faccia assicurandosi che gli atti di fascismo, discriminazione, dominio di una razza sull’altra siano ormai parte della storia, rifiutando e
condannando qualsiasi evento che possa portare alla mente quanto accaduto in quegli anni.
Imparare dagli errori commessi nel passato, però, non sembra essere una caratteristica del genere umano. Ogni giorno nel mondo si consumano atti di prevaricazione determinati da quella cultura del dominio dell’uomo sulla natura, dell’uomo sugli animali, dell’uomo su
altri uomini tipica del pensiero antropocentrico, che parte quindi da una base egoista.
La persecuzione subita dalle popolazioni indigene è l’esempio di quanto, ancora oggi, si facciano distinzioni tra chi merita di vivere e chi invece è ritenuto sacrificabile nel nome del finto progresso, del mero guadagno, del consumismo e del capitalismo. Ancora una volta e per parafrasare, in nome dell’egoismo.

Guaranì: una delle tribù più minacciate al mondo dall’industria della carne e dei derivati animali, dal traffico di legna illegale e dal mercato dell’olio di palma.

Gli atti di violenza subiti dalle tribù indigene sono accompagnati da un colpevole silenzio, caratteristica di una società che preferisce voltarsi dall’altra parte piuttosto che apprendere la verità e impegnarsi per la libertà di tutt*.
Un silenzio assordante avvolge anche quelle costruzioni in cemento che più di ogni altre ricordano i campi di concentramento, gli allevamenti animali, simboli del dominio della specie umana su chi da essa è considerato inferiore, incapaci di provare emozioni e quindi riducibili a meri beni di consumo — e ancor prima a nostri personali schiavi — o a fenomeni di intrattenimento da rinchiudere in zoo, circhi e parchi acquatici per il divertimento delle persone.
Simboli di specismo e di razzismo come le mura e le barriere di filo spinato erette in questi ultimi mesi in diverse parti d’Europa, per impedire il transito di chi sfugge da guerre, regimi oppressivi e condizioni di dittatura, nel tentativo di costruirsi un futuro in libertà.
Quella libertà che la Terra offre per natura, ma che l’essere umano in generale sembra voler rifiutare, intento a erigere barriere fisiche e mentali che alimentano l’intolleranza.

La Giornata della Memoria dovrebbe essere contraddistinta dalla garanzia che nessun campo di concentramento sia mai più stato costruito, ma purtroppo così non è, perché oltre a dover assistere al regime di schiavitù imposto dall’animale umano sugli animali non
umani, gli esempi del fatto che esistono espressioni di prevaricazione di una razza su di un’altra sono ancora ben presenti.

In Corea del nord, fatto trascurato dai media nostrani, esistono ancora gulag attivi: si tratta di cinque campi di prigionia eretti intorno al 1970 dove lo stato detiene tra gli 80 e i 120 mila prigionieri politici.
Dal 1948, il paese è stato dominato dalla famiglia Kim. Quando Kim Il-Sung ha preso il potere ha sottomesso la Corea del nord alla sua nuova linea dura comunista combinata al più estremo culto personale. Suo figlio, Kim Jong-Il, e suo nipote, Kim Jong-Un, hanno mantenuto il regime. Come risultato, decenni di fame, povertà e brutalità sponsorizzata dallo stato. Alle persone è stato fatto un lavaggio del cervello per venerare il “Caro Leader” nonostante le privazioni fisiche e le torture mentali che hanno sofferto.
Attraverso la testimonianza di un’ex guardia che lavorava nel campo Hwasong, è ora possibile far luce sulle condizioni nelle quali vengono tenuti i prigionieri.
Lee, questo il nome scelto dall’ex guardia, che per proteggere la propria famiglia preferisce mantenere l’anonimato, ha descritto ciò che ha visto accadere con i propri occhi quando lavorava nel campo numero 16 (Hwasong), dove tuttora sono tenute prigioniere 20 mila persone.

Foto: Mirror

Foto: Mirror

I prigionieri, fatti camminare per sette miglia per raggiungere le aree adibite al lavoro dove vengono impiegati anche con temperature inferiori ai 25C sotto zero, spesso erano costretti a nutrirsi con ratti, serpenti e formiche nel disperato tentativo di restare in vita.
Un macabro metodo di esecuzione utilizzato nel campo vede i prigionieri costretti a scavare delle fosse, fino a quando viene detto loro di restare immobili sul bordo in attesa di esser colpiti dietro la testa da un martello.
Questa pratica ricorda molto quella utilizzata negli allevamenti animali, dove chi è destinato al macello viene stordito con la pistola captiva subito prima di entrare in quel processo che da vita lo trasforma in prodotto.
Un altro metodo di tortura caro a diverse guardie, che come ha spiegato Lee amavano vantarsene, era quello di spingere i detenuti all’interno di piccole aperture nelle pareti. Di seguito, il disegno realizzato da una guardia che raffigura questa pratica.
Lee ha raccontato anche di un episodio in particolare al quale ha assistito. Un detenuto è stato chiamato per essere interrogato in una stanza, dopodiché è stato fatto uscire dal retro. All’uscita lo aspettavano due guardie; una delle due lo ha immobilizzato, mentre l’altra gli ha passato una corda di gomma attorno al collo e ha stretto fino a strangolarlo. Il corpo è stato gettato in un fosso insieme a quello di altri detenuti. Lee ha dichiarato che ricorderà il volto di quel prigioniero fino alla morte.
In Corea del nord è fin troppo semplice diventare da un giorno all’altro un detenuto: un episodio agghiacciante riguarda un uomo che è stato mandato in prigione dopo aver usato un foglio di giornale in cui si trovava una foto di Kim Jong-Il per asciugare una bevanda versata.
Nonostante vi siano quindi fin troppi casi di accuse e detenzioni per i più svariati e incredibilmente assurdi motivi, il governo dittatoriale nord coreano non si accontenta e spesso assieme al “trasgressore” imprigiona anche i suoi familiari. Come testimoniato da Lee, i membri della famiglia, una volta giunti al campo di lavoro, vengono privati di ogni loro possedimento per poi essere separati e non potersi rivedere mai più.
Il report pubblicato dalle Nazioni Unite riporta che:

Nei campi di prigionia della Corea del nord, la popolazione dei prigionieri è stata gradualmente eliminata attraverso lavoro forzato, esecuzioni, torture, stupri, aborti forzati e infanticidi.

Nonostante questi fatti siano finalmente venuti a galla, immagini satellitari raccolte nell’ottobre 2015 hanno evidenziato che la Corea del nord sta pianificando di aumentare il numero di prigionieri detenuti nel campo numero 16, attraverso la costruzione di nuove strutture che prevedono anche dighe, centrali idroelettriche, appartamenti per le guardie, un campo sportivo, una miniera e allevamenti di idrocoltura.

Ricordare non ha efficacia se davanti al ritorno dell’orrore del passato ci si volta dall’altra parte.
Celebriamo la Giornata della Memoria ricordando le vittime dell’olocausto, ma nutrendo una coscienza che ci porti verso il rifiuto di ogni forma di prigionia, sfruttamento e dominio, senza distinzioni di etnia, credo religioso, sesso e specie, perché siamo tutt* Terrestri: una sola lotta per la liberazione animale, umana, della Terra.

Fonti: DailyMail – Upi – Mirror