La minaccia sembrava esser stata debellata: lo stato brasiliano accusato di violazione dei diritti umani e i lavori per la realizzazione della diga di Belo Monte definitivamente sospesi.
Ma un tribunale federale brasiliano ha revocato l’ingiunzione del tribunale di grado minore che aveva bloccato i lavori.
Il disastro ambientale dello scorso 5 novembre, battezzato come il peggiore nella storia del Brasile, che ha visto il crollo della diga dell’azienda mineraria Samarco riversando 50.000 tonnellate di fango tossico sui villaggi circostanti e nel Rio Doce, non è bastato ad arrestare l’avanzata del cemento.
La diga idroelettrica di Belo Monte, costruita sul fiume Xingu, una volta realizzata avrà una capacità di 11.233 megawatt, superata solo dalle dighe cinesi.
La realizzazione di questa grande opera, gestita da Norte Energia, è già costata l’esproprio di 20.000 persone, la persecuzione di 24 tribù indigene costrette ad abbandonare le terre ancestrali da sempre abitate e protette.
La foresta amazzonica è in ginocchio, violentata dal cemento, dagli allevamenti animali, dalla conseguente deforestazione portata anche dalle monocolture di soia, mais e palme da olio, dalle estrazioni minerarie, dal traffico di legna illegale, tutti fenomeni che determinano un’enorme perdita di biodiversità vegetale e animale.
Il tira e molla sul caso Belo Monte da parte dei tribunali è l’esempio lampante di come non si debba percorrere la strada delle istituzioni per perseguire la liberazione della Terra, e la stessa cosa vale per quella animale e umana.
La delega è solo un modo per scaricare le proprie responsabilità, legittimando il potere delle istituzioni e alimentando un meccanismo che avvantaggia le multinazionali.
Solo l’informazione, la consapevolezza e la lotta dal basso condotta in prima persona possono fermare le forme di dominio e prevaricazione dell’uomo sulla natura, dell’uomo sugli animali, dell’uomo su altri uomini.
Fonte: Reuters