Come il nostro narcisismo culturale sta uccidendo la Terra

Il selfie, una moda dilagante che in questo ultimo periodo sta causando diverse vittime tra gli animali non umani.
L’incidente che ha generato più indignazione riguarda la morte del piccolo delfino Franciscana, che è stata uccisa da una massa di turisti pazzi per il selfie su una spiaggia dell’Argentina.
La reazione all’evento è stata prevedibile: le maggiori testate giornalistiche hanno pubblicato articoli con titoli infuocati, le sezioni dei commenti e i social media sono stati invasi da polemiche chiedendo che chi era coinvolto nell’incidente fosse dichiarato colpevole di un crimine.
La rabbia e le richieste di giustizia non cambieranno assolutamente nulla finché non sarà messo in discussione il sistematico appoggio a questi eventi.
Il tragico incidente in Argentina è sintomatico di una questione più profonda che trae origine dal narcisismo collettivo e dalla crescente alienazione dal mondo naturale, della quale la cultura occidentale si fa pioniera.
Invece che fustigare gli individui che si fanno i selfie dovremmo esaminare i nostri condizionamenti e capire come potremmo agire nel mondo in maniera differente.

Una turista saltella in mezzo ai nidi delle tartarughe marine in Costa Rica, impedendo a molte di loro di deporre le uova.

Una turista saltella in mezzo ai nidi delle tartarughe marine in Costa Rica, impedendo a molte di loro di deporre le uova.

È stata la cultura occidentale che per prima ha portato avanti l’idea che gli animali umani e la natura fossero in qualche modo enti separati.
Questa dicotomia si basa sul presupposto che l’animale umano sia intrinsecamente superiore agli animali non umani, sostenendo che solo la specie umana possieda le capacità cognitive e di provare emozioni.
Siamo cresciuti nella convinzione che gli sforzi per comunicare con gli animali non umani o per sviluppare delle relazioni che non siano basate sul totale dominio siano semplicemente inutili.
Nonostante questo condizionamento capillare, molte persone desiderano ancora una connessione più profonda tra gli animali umani e quelli non umani, una connessione che era insita in tutte le vite umane prima dell’alba della moderna civilizzazione, del colonialismo e la decimazione delle altre culture.
Uno sguardo più ravvicinato alla massa impazzita quel giorno sulla spiaggia sembra rivelare questo desiderio di connessione: dalla folla si sollevavano anche appelli che incitavano a rimettere il delfino in acqua.
Quando è morta per disidratazione le persone si sono fatte avanti per accarezzarla teneramente, cercando di fare i conti con un crescente senso di tristezza e rimpianto.
Queste non sono le azioni di individui mostruosi che dovrebbero essere condannate. Queste sono azioni di persone alle quali è stato insegnato fondamentalmente di non comprendere gli animali non umani, di trattarli come oggetti invece che come essere coscienti e senzienti quali essi sono veramente.
Con questo non intendiamo giustificare questa né altre azioni similari, ma l’incidente illustra uno dei modi che la cultura occidentale ha per mediare le nostre relazioni con gli animali non umani, reiterando la barriera illusoria tra l’uomo e la natura.
Tema Milstein la chiama la “metafora del performer”: quando gli animali umani sono gli spettatori e la natura è l’intrattenitrice.
Milstein evidenza come, almeno in Nord America, il linguaggio utilizzato per descrivere gli incontri con gli animali selvatici sia largamente legato al mondo dello spettacolo: ”Quella balena ha veramente messo su uno show,” oppure “quell’uccello si sta mettendo in
mostra.” La lista degli esempi è infinita.
Compagnie come SeaWorld sono contemporaneamente sintomo e causa di questa metafora dello spettacolo: le sue strutture sono luoghi nei quali viene messa in scena la collettiva incapacità di comprendere gli animali non umani per disseminarla nella cultura popolare.
Migliaia di giovani largamente impressionabili che ogni anno visitano SeaWorld sono esposti alla metafora dello spettacolo nella sua forma più pura. Essi, in quanto pubblico, applaudono mentre i cetacei vengono forzati a mettere in scena le coreografie per le quali
vengono addestrati.
Il pubblico lascia la struttura con l’impressione che quello a cui ha assistito rappresenti una parte dell’ordine naturale delle cose: che questo è esattamente come gli animali umani dovrebbero relazionarsi con i cetacei e con gli altri animali non umani.
SeaWorld avrebbe dovuto riconoscere il ruolo che la sua industria ha giocato nella morte del piccolo delfino e invece ha rilasciato un misero comunicato che rimproverava le persone per essersi fatte i selfie con il delfino.
Secondo quanto affermato da SeaWorld, non si dovrebbe “sorvolare sulla tendenza a trattare un animale come un oggetto per ottenere un buon selfie… e sì, prendere un giovane delfino arenato e farci il selfie è considerato un abuso.”
Questo potrebbe essere vero, ma da SeaWorld questo consiglio suona ironico dato che il suo intero modello di business si basa sulla cattura dei cetacei dagli oceani, sulla loro forzatura per farli esibire negli spettacoli e, sentite questa, far pagare gli spettatori per farsi i selfie con loro.
SeaWorld sostanzia perfettamente la “metafora del performer” e così facendo reitera la volontà di trasformare i delfini, che siano prigionieri o arenati sulla spiaggia, in oggetti per le foto.
Certamente nella cultura occidentale non tutti vedono gli animali non umani e la natura attraverso le lenti dello spettacolo. Ad ogni modo, questa percezione rimane pressoché pervasiva e, secondo Milstein, inibisce attivamente le eventuali modalità alternative di approccio e comprensione:

La metafora dello spettacolo è così predominante nei modi di pensare occidentali che al momento abbiamo grosse difficoltà a parlare diversamente, e persino ad avere una percezione differente. In questo modo, quando diciamo cose come, “questi lamantini si divertono ad esibirsi per noi” potremmo sul serio crederci.

Mentre le città aumentano di grandezza e sempre meno persone hanno l’opportunità di sviluppare le proprie autentiche prospettive, l’influenza della metafora dello spettacolo potrebbe continuare a crescere. selfie2L’antropocentrismo, ovvero l’idea che il genere umano sia il più importante elemento dell’esistenza tutta, è un’altra sfaccettatura della dicotomia umano/natura che ha colonizzato gran parte dell’odierna società; messa in termini semplici, l’antropocentrismo è il narcisismo su scala culturale.
Questo si rende evidente quando, per esempio, intere terre vengono distrutte per essere adattate ai bisogni della moderna civilizzazione, scopo raggiunto a spese sia degli animali umani che non umani.
Le opinioni, i desideri e i bisogni delle comunità indigene, delle comunità dei cetacei, della moltitudine delle altre comunità non umane, vengono sistematicamente ignorati.
Molti affermano che i selfie siano l’emblema del narcisismo individuale. La crescita della popolarità del selfie sembra allinearsi con la traiettoria presa dall’antropocentrismo occidentale, mentre entrambi scalano una vetta febbrile.
I tempi in cui le persone si accontentavano di scattare foto dove i protagonisti erano il paesaggio o gli altri animali non umani sono ormai finiti; adesso gli animali umani sono spesso centrali in questi scatti, come se le scene risultassero prive di significato senza il viso dell’uomo. Il mondo esiste sempre più solamente come sfondo al via vai dell’umanità occidentalizzata.selfie3

I selfie possono essere istigatori, molti animali non umani sono morti a causa di questa abitudine, ma altri milioni sono morti per lo sfrenato egocentrismo umano.
I selfie mettono visceralmente in evidenza le nostre difficoltose relazioni con il mondo non umano, e questo mettere a fuoco è qualcosa con cui è difficile fare i conti.
Ma farci i conti è quello che dovremmo fare e possiamo farlo innanzitutto riconoscendo dove sta il problema: nel modo di vedere il mondo che la lente occidentale mette in atto.
Solo quando avremo affrontato questo aspetto allora potremmo immaginare modi alternativi per stare assieme, in modo da poter co-creare un mondo più compassionevole e comprensivo verso tutte le specie che abitano la Terra.
Solo una volta deposto il bastoncino per i selfie e rivolto lo sguardo al mondo non umano potremo cominciare a recuperare le connessione che la cultura occidentale ci ha occultato.
Esiste un intero mondo che ci aspetta dietro all’illusione.

Fonte: Wearsonar