Tilikum: la morte l’unica strada per ritrovare la libertà

Una fabbrica di schiavi. Una delle sue innumerevoli vittime è Tilikum, l’orca protagonista del documentario Blackfish e simbolo della schiavitù imposta da SeaWorld alle specie marine, per le tasche di chi lucra sul loro sfruttamento e il divertimento di chi finanzia questi parchi.
Tilikum, catturato all’età di due anni e da 35 schiavo di SeaWorld, ora giace in fin di vita a causa di un’infiammazione respiratoria che rappresenta l’unica sua possibilità di ritrovare la libertà, attraverso la morte.
Dal momento della notizia, SeaWorld ha continuato e continua a diffondere comunicati ipocriti tentando di convincere il mondo di avere davvero a cuore le sorti di Tilikum. In realtà è così, ma solo perché quest’orca ha rappresentato uno dei principali investimenti da parte della compagnia, che ha potuto allargare il suo impero di schiavitù.
Tilikum ha subito diversi abusi sessuali nel corso della sua nonvita affinché SeaWorld potesse avviare un programma di accoppiamenti attraverso la raccolta del suo sperma funzionale a inseminare artificialmente le balene femmine, arrivando a “produrre” 21 cuccioli nati all’interno del suo sistema di prigionia.

"Nel 1983, un maschio di orca assassina fu catturato nell’Atlantico settentrionale. All’età di due anni, era già lungo 3,5 metri. Lo chiamarono Tilikum. Blackfish documentò i crudeli effetti della cattività a SeaWorld".

“Nel 1983, un maschio di orca assassina fu catturato nell’Atlantico settentrionale. All’età di due anni, era già lungo 3,5 metri. Lo chiamarono Tilikum. Blackfish documentò i crudeli effetti della cattività a SeaWorld”.

I cuccioli di orca, strappati alle proprie madri, vengono spediti come merce ad altri SeaWorld dove devono esibirsi per mangiare; una generazione di schiavi nati e cresciuti all’interno di questi parchi, molti dei quali morti in tenera età o divenuti aggressivi per non aver mai potuto conoscere una vera famiglia e i ritmi della vita libera negli oceani.
Tlikum non saprà mai quale impatto ha avuto sul settore della cattività; un ambiente crudele che ha distrutto la mente e lo spirito di un’orca e che nonostante la diffusione dei crimini commessi da SeaWorld ai danni di queste specie denunciati nel documentario Blackfish la compagnia non ha apportato alcun cambiamento e le orche continuano a marcire nelle numerose strutture presenti negli Stati Uniti e all’estero.
Questo regime di schiavitù e sfruttamento può essere fermato in un unico modo: non attraverso vasche più grandi o norme che impediscano le violenze subite da questi animali non umani, perché la reclusione è un atto di violenza in sé. L’unica via per la loro liberazione passa attraverso la consapevolezza di chi ancora oggi continua a finanziare questi posti, assistendo a uno spettacolo la cui realizzazione è il frutto della distruzione di intere famiglie di animali non umani.
Queste prigioni esistono solo perché ci sono degli spettatori; se nessuno le finanzia non potranno che chiudere e finalmente ognuno potrà tornare a vivere nel proprio habitat naturale dal quale non sarebbe mai dovuto essere strappato.
Un concetto che deve valere per orche, delfini, leoni marini etc. catturati per diventare oggetti di consumo all’interno di questi parchi, ma anche per tutte le altre specie ittiche strappate da mari, laghi e fiumi per ragioni di mercato.

Fonte: cfc