Oltre al mercato dell’olio di palma

Una trama prevedibile, un copione che pareva già scritto come abbiamo sottolineato diverse volte in questi ultimi mesi, da quando alcune aziende collegate al mercato dell’olio di palma hanno annunciano l’abbandono di questa sostanza, promettendo nuove linee di prodotti libere dall’olio di origine tropicale.
Da quel momento l’informazione di denuncia in merito ai crimini causati dal mercato dell’olio di palma è stata soppiantata da pubblicità, slogan e comunicati di apprensione da parte di aziende e supermercati preoccupati dalla crescente fuga dei consumatori, e quindi
guadagni, un’operazione di marketing appoggiata anche dai media che hanno offerto loro pubblicità gratuita e visibilità, invece che preoccuparsi di diffondere la verità.
La verità è che nulla è cambiato, molti marchi hanno semplicemente avviato linee di prodotti senza olio di palma parallele a quelle che lo contengono e che ancora vengono commercializzate o, peggio ancora, sostituendolo con un altro olio tropicale, quello di cocco, o il burro, mantenendo di fatto invariate le sorti della Terra e alimentando quello sfruttamento animale che caratterizza il sistema specista.
Questo cambiamento distorto lo si deve al blando approccio che, dalle nostre parti, ha caratterizzato la lotta contro il mercato dell’olio di palma, dettata da una preoccupazione verso la salute dei consumatori, problema rapidamente risolvibile, e il quasi totale disinteresse verso quelli che sono i danni reali provocati dalla produzione di questa sostanza: deforestazione, morte animale, oppressione dei popoli.
La produzione di olio di palma non sta diminuendo, anzi, si è solo spostata ed è prevista in aumento nei prossimi mesi, mettendo a rischio le foreste africane e del Sud America.
Il Sud-est asiatico, ormai logoro dopo anni di land grabbing, deforestazione e incendi che nell’autunno del 2015 portarono alla distruzione di 700.000 ettari di foresta, sta rapidamente passando il testimone al Sud America e all’Africa, paese originario della elaeis guineensis: la palma da olio con la quale le multinazionali del settore hanno colonizzato le foreste tropicali di tutta la Terra negli ultimi 30 anni.lotta per la terra
Tra le foreste minacciate, il 30% è rappresentato da quelle vergini, casa di infinite specie vegetali e animali e che in questi anni erano già state colpite dal land grabbing, come in Africa dove la maggior parte delle monocolture di palme da olio sono funzionali alla produzione dei falsi biodiesel.
Tra i paesi maggiormente a rischio c’è sicuramente il Perù dove sono già stati divorati quasi 10.000 ettari di foreste primarie, con un incremento nel periodo tra il 2013 e il 2015 quando scomparirono 1.700 ettari di foresta nella Pampa.
In Perù, come in molti altri paesi, l’integrità delle foreste e degli ecosistemi in generale non è minacciata solo dal mercato dell’olio di palma, espressione estremizzata di un sistema produttivo votato allo sfruttamento di ogni risorsa di cui la Terra dispone, ma viene
accompagnato dalle estrazioni minerarie di rame e dalle piantagioni di cacao che hanno colonizzato 2.400 ettari di terra.Questo per sottolineare l’importanza e la necessita di sviluppare una visione più amplia della situazione, che porti ad interessarsi dei
problemi che affliggono la Terra anche se questi non si verificano sotto casa propria.
La lotta al mercato dell’olio di palma non deve essere fine a se stessa, ma servire da apri pista verso tutte quelle produzioni intensive che provocano deforestazione, inquinamento, prevaricazione animale e sociale. Aspetti, questi, che determinano il surriscaldamento globale, un fenomeno che colpisce, riguarda e rende tutti/e artefici, nel bene o nel male, delle sorti della Terra.
Una lotta che deve portare a prendere le distanze dalla grande distribuzione organizzata, e non a chiedere all’industria nuove linee di prodotti, generando di fatto nuova fasce di consumatori.
Quello che va demolito è il concetto di territorio che spesso porta a vedere distanti determinate questioni, alimentando il rifiuto di considerare propri anche quei crimini che non toccano direttamente, ma che direttamente possiamo contribuire ad arrestare attraverso singole scelte quotidiane. Perché prima di tutto siamo tutti/e abitanti della Terra che ci offre la propria ospitalità, e che abbiamo il dovere e il piacere di tutelare e preservare al fine di garantire la libertà di tutti/e, incominciando da quella del Pianeta stesso.

Fonte: Ansa