L’orgasmica necessità di prendersela con i/le vegan – di Nicholas Tomeo

Premettiamo che questa volta non era nostra intenzione occuparci del polverone sollevato dalla pubblicazione dell’articolo Perché non c’è nulla di etico nella vita di un vegano, ritenendo più efficace, arrivati a questi punti, ignorare chi si pronuncia senza cognizione di causa.
Siamo però lieti di vedere come vi siano sempre più singolarità pronte ad esporsi in prima persona per fare chiarezza e difendere i valori politici che contraddistinguono la lotta antispecista, che nel veganismo ha il suo punto di partenza, da questa costante lapidazione mediatica.
L’articolo a cui fa riferimento Tomeo, al quale scritto ora vi lasciamo, non è ne il primo ne sarà l’ultimo del genere, figlio di quella tendenza sostenuta e sdoganata da molti gruppi, associazioni e enti vari, che vede il veganismo svenduto come moda o mera scelta alimentare.2000px-Veganarchism.svg

So bene che dal mio piccolo, anzi piccolissimo mondo, ossia di coloro che mi conoscono, ma anche di chi non mi conosce personalmente, contribuirò con queste due righe a rendere noto l’articolo di Matteo Lenardon “Perché non c’è nulla di etico nella vita di un vegano”. Però qualcosa da dire ce l’ho anch’io, inoltre, pur se qualcuno ancora non abbia ancora letto quell’articolo, a dire il vero poco entusiasmante, non mi spaventa l’idea che lo faccia: ho argomenti ben strutturati per sostenere a viso aperto il confronto.
Mentre leggevo l’articolo pensavo: “Ancora? Cioè, veramente ancora con sta storia?”, con le palpebre mezze chiuse e i muscoli lasciati affondare pesantemente sul divano. E sì, perché l’articolo di Lenardon tratta argomenti triti e ritriti, sentiti migliaia di volte, e migliaia di volte sputtanati. Insomma, per farla breve, l’autore dell’articolo sostiene che la persona vegana, sebbene si dichiari etica, in realtà non lo è perché si nutre di cibi che sfruttano popoli umani e territori interi. Fa dunque l’esempio della quinoa del Perù e della Bolivia, degli anacardi del Vietnam, della deforestazione a causa della produzione degli avocado. Sì, appunto, ancora con sta storia!
Ora, tralasciando tutta la questione di sfruttare animali senzienti e dell’eticità di tale pratica, partiamo da un concetto base: il veganismo nasce come idea politico-sociale contro lo sfruttamento degli abitanti della Terra, tutti, indistintamente se essi siano umani o non umani, e della Terra stessa. Che poi spesso venga preso come pretesto per radical-chic modaioli che usano la parola vegan accostato all’aperitivo in centro per l’apertura della nuova Fitness Gym con sconti straordinari per i primi cento iscritti è un’altra cosa. Basti pensare che ci sono capitalisti che si definiscono anarchici, oppure cacciatori che si definiscono ambientalisti o tanti piccoli Salvini democratici.
Ebbene, Lenardon ha preso proprio gli avventori dell’aperitivo in centro per parlare anche degli attivisti vegan che quotidianamente si battono per l’eliminazione dello sfruttamento, di tutto lo sfruttamento, finendo per sproloquiare di cose che non conosce affatto (è evidente) violentando e diffamando un’idea politica, quella del veganismo politico, che si batte proprio contro quello sfruttamento che lui denuncia nel suo articolo. È incredibile!
Capisco bene che la denigrazione del mondo vegan per un leone da tastiera è molto più eccitante che dieci minuti di youporn: porta facili consensi, spesso istanti di pura notorietà e strappa anche delle “stramazzanti” risate di gusto, però dai, così è chiaro che vuoi gridare al mondo: “Sto scrivendo di cose che non conosco”.
Come dicevo il veganismo nasce da un’idea politica molto forte, che contrasta lo sfruttamento: possiamo dire che il veganismo nasce dunque come opposizione allo sfruttamento in generale e, quindi, anche contro lo sfruttamento animale. In fondo, perché escluderlo? È in sostanza un’idea liberazionista, libertaria, egualitaria e aspecista, tanto da parlare di veganarchismo.
Essere veganarchici significa essere antirazzisti, antifascisti, antisessisti, antispecisti e, guarda un po’, anticapitalisti. E Lenardon, non essendo cosciente di cosa in realtà sia il veganismo politico, pone sullo stesso piano chi, seppur decide di non mangiare animali o i loro prodotti, lo fa per fini salutistici ed egoistici (moltissimi di coloro che fanno questa scelta non badano se il sapone che usano sia stato testato su animali o meno, oppure indossano pelle e/o pellicce), e chi invece è spinto per idee politiche e sociali anticapitalistiche. Ed è proprio questo l’errore.
Infatti, l’idea del veganismo politico è quella secondo cui la lotta per la liberazione totale può essere tale solo se include anche la liberazione animale e della Terra, attraverso pratiche quotidiane anti-autoritarie; è un’estensione della vecchia idea di anticapitalismo e, dunque, di lotta anche contro quegli sfruttamenti che lui prende a modello per cercare di screditare il veganismo.
Voglio dire, quello sfruttamento a cui si fa riferimento nell’articolo non c’è perché ci sono i vegani, ma perché c’è un sistema economico liberista e capitalistico che preesiste al veganismo e a cui quest’ultimo si oppone tenacemente. Secondo la logica di Lenardon, è come se io scrivessi un articolo chiamato “perché non c’è nulla di etico nella vita di chi prende l’autobus” parlando però dell’inquinamento cittadino prodotto dai mezzi a motore.
Per questo, la persona veganarchica, in quanto anticapitalista, non comprerà mai la quinoa del Perù o della Bolivia, non comprerà mai la soia dell’Amazzonia, non comprerà mai gli anacardi del Vietnam, ma si nutrirà dei prodotti dei produttori locali, li comprerà, laddove non può coltivarli, nei marcatini locali, o più in generale favorendo solo quelle produzioni non intensive, estensive e distruttive – senza dimenticare inoltre che la quinoa è prodotta anche in Italia.
Basti pensare a tutta l’opposizione degli stessi attivisti politici vegan contro il marchio VeganOk, oppure che gli organizzatori e le organizzatrici della Festa Antispecista 2017 sono stati diffidati da Michela Brambilla perché durante la tre giorni c’era una conferenza dal titolo “Michela Vittoria Brambilla e la mercificazione del veganismo”. Ma queste critiche e opposizioni alla mercificazione del veganismo, non solo ad opera di Brambilla e di tutti i singoli che appoggiano quell’idea di veganismo, ma anche e soprattutto delle multinazionali (ad esempio anche la Granarolo, che ha fatto dello sfruttamento degli animali la sua ricchezza, commercializza lo yougurt 100% vegetale!) che sfruttano e strumentalizzano un’idea di libertà per fini economici e finanziari, sono già più che attive all’interno del movimento vegan stesso, e di certo non necessitano di insegnamenti da parte di Lenardon & co.