Made in Monsanto size 1974: dossier sul Glifosato

Nel maggio del 2015 una pubblicazione su The Lancet Oncology risveglia la comunità scientifica dal suo non poco disinteressato torpore riaprendo cosi il dibattito sull’utilizzo del glifosato.

Le prove che l’erbicida causi il cancro negli animali sono sufficienti, mentre sono forti quelle riguardanti la genotossicità.

Questo è quel che viene reso pubblico da 17 esperti provenienti da 11 paesi al termine dell’International Agency for Research on Cancer (IARC) riunita quello stesso anno a Lione.
Non è una gran rivelazione.
Già nel 1985 l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente ne rese nota la tossicità a seguito di esperimenti eseguiti sui ratti, ma sei anni dopo ritrattò: “il glifosato non ha mostrato potenzialità cancerogene in almeno due studi su animali, condotti su specie diverse, ossia in studi sia animali sia epidemiologici”.glifosato tanica
Sempre nel 2015 l’Agenzia per la ricerca sul cancro (ovvero l’Organizzazione Mondiale della Sanità) ha catalogato questo erbicida come “probabile cancerogeno per l’uomo” inserendolo nella categoria 2A insieme a carni rosse, bitume e anabolizzanti.
Si pronuncia diversamente l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) che non ritiene di dover attribuire al glifosato una pericolosità cancerogena.
Viene da chiedersi come sia possibile che vengano dati pareri tanto diversi e contrastanti.
Ma constatare che l’EFSA abbia condotto gli studi sul glifosato in collaborazione con l’Istituto Federale Tedesco per la Valutazione del Rischio (BfR) chiarisce notevolmente il contesto e le modalità con cui vengono effettuati questi studi, sopratutto alla luce di quanto si sarebbe verificato da li ad un anno, con l’acquisizione di Monsanto da parte della multinazionale farmaceutica Bayer.
L’Istituto Federale Tedesco per la Valutazione del Rischio (BfR), infatti, è risultato essere nel libro paga dell’International Life Science, lobby internazionale con sede a Washington DC di cui fanno parte industrie del settore agroalimentare, chimico-farmaceutico e biotecnologico: tra i suoi membri anche Monsanto (prima multinazionale a produrre glifosato, principio attivo del Roundup).
Adesso l’utilizzo di questo erbicida è stato autorizzato per altri 5 anni, preventivando una proroga di altri due anni per consentire lo smaltimento delle scorte, nonostante le piante abbiano già iniziato a sviluppare una resistenza verso il glifosando che presto verrà sostituito da una nuova sostanza chimica frutto di una collaborazione tra Monsanto e Du Pont: il Dicamba.vanquish-clarity-dicamba-herbicide-25-gallons
L’Italia è stato uno dei primi paesi europei ad averne regolamentato e limitato l’uso del glifosato, ma continua ovviamente ad essere ampiamente impiegato nelle coltivazioni e nei parchi.
All’Istituto Ramazzini di Bologna (alla luce della proroga di 5 anni) farà capo il primo studio globale a lungo termine sugli erbicidi contenenti glifosato.
Si valuteranno: tossicità a lungo termine, cancerogenicità a lungo termine, effetti multi generazionali, effetti neurotossici, effetti di interferenza endocrina, effetti in gravidanza, effetti sul microbioma intestinale.
La dottoressa Fiorella Belpoggi, direttrice del centro di ricerca sul cancro “Cesare Maltoni” (parte dell’Istituto Ramazzini) e esperta di salute ambientale, ha reso pubblici i primi risultati.

Anche quando somministrati a dosi attualmente considerate sicure provoca alterazioni al microbioma intestinale e al sistema endocrino, lesioni patologiche a organi bersaglio. Non si escludono effetti cancerogeni a lungo termine.

Questi “sensazionali” e ritriti risultati vengono ottenuti tramite esperimenti basati ancora sul modello animale.
Ratti che sono trattati dalla vita prenatale e mantenuti sotto osservazione fino a morte spontanea o, almeno, fino a 130 settimane di età, corrispondenti a circa 75 anni nell’uomo.
Riportiamo un estratto di un’intervista alla dottoressa Belpoggi.
Ecco a cosa vengono sottoposti i ratti nei laboratori dell’Istituto Ramazzini.

Abbiamo esposto gli animali alle stesse dosi che sono considerate sicure negli Stati Uniti, cioè 1,75 mg per kg di peso Adi USA, (Acceptable Daily Intake, ossia in italiano Dga, dose giornaliera accettabile), poi abbiamo iniziato a esporre le mamme incinte di pochi giorni, le abbiamo seguite durante la gravidanza, abbiamo valutato i piccoli appena nati, il loro peso, se avevano la distanza ano-genitale variata o non variata (è un parametro che serve a valutare gli effetti androgenici o estrogenici)…abbiamo preso le feci durante tutto l’arco del periodo di vita per vedere se c’erano alterazioni della flora batterica intestinale, abbiamo studiato la genotossicità sulle cellule del midollo osseo.

E alla domanda “quali risultati avete ottenuto?”, la risposta è la seguente.

Ritardi nello sviluppo sessuale delle femmine, frammentazione del DNA dei cromosomi nelle femmine e nei maschi, alterazione della flora batterica intestinale nel primo periodo della vita, cioè dalla nascita fino al primo sviluppo sessuale. Ai neonati, durante l’allattamento, evidentemente, arrivava attraverso il latte. Poi bevevano l’acqua perché si svezzano abbastanza presto, e quindi il loro intestino, nei piccoli, ha subito delle alterazioni importanti, statisticamente significative. Un altro risultato che abbiamo già visto è un danno ai reni nelle madri, gravide. I reni sono organi molto sensibili al sovraccarico tossico, unite al glifosato queste patologie sono risultate molto evidenti. Per ora questi sono i dati che abbiamo in nostro possesso.

Prodotto e commercializzato (attraverso il Roundup) da Monsanto a partire dal 1974, oggi il glifosato è presente in 750 prodotti, utilizzato in oltre 140 paesi in tutto il mondo per un impiego annuo pari a 800.000 tonnellate.
In Italia la sola regione a presentare dati sul monitoraggio del glifosato nelle acque (laghi e fiumi) è stata la Lombardia nel 2014 dove la presenza dell’erbicida è stata rilevata anche nelle urine umane, come riporta il rapporto Ispra:

…la presenza del glifosato e del suo metabolita, l’acido aminometilfosfonico, è ampiamente confermata. In Lombardia, dove la sostanza è presente nel 31,8% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali, mentre il metabolita nel 56,6%.

Uno studio analogo, pubblicato nel marzo 2016 dalla Fondazione Heinrich Boell, ha svelato la presenza di residui di questa sostanza nel 99.6% della popolazione tedesca, sopratutto tra chi consuma carne e derivati animali (il glifosato viene abitualmente utilizzato per trattare le monocolture di soia e mais geneticamente modificati destinati all’alimentazione degli animali negli allevamenti), ma le contaminazioni più elevate sono state registrate nei bambini di età compresa tra gli 0 e i 9 anni, nei giovani tra i 10 e i 19 anni e, tra le categorie professionali, soprattutto negli agricoltori.
L’esposizione ai pesticidi, glifosato su tutti, è stata più volte correlata ad un aumento dei casi di leucemie infantili e malattie neuro-degenerative, Parkinson in testa, e al linfoma non-Hodgkin, ma nonostante le numerose testimonianze che confermano gli effetti devastanti di queste sostanze sull’ambiente e, quindi, sul vivente (come denunciato dal report Il Costo Umano dei Pesticidi), gli esperimenti sui ratti continuano, in quello che è un circolo vizioso tra sfruttamento animale e umano a solo vantaggio delle multinazionali farmaceutiche.

VM

Fonti: HuffPost euronews GliphosateStudy