La bambina col glifosato nel sangue

Il suo nome è Ludmila Terreno, la bambina col glifosato nel sangue che a soli due anni è divenuta, suo malgrado, il simbolo della resistenza Bernardo de Irigoyen (cittadina argentina della provincia di Misiones) contro le multinazionali agro-chimiche.
Nel novembre 2017 la bambina, oggi a rischio di leucemia, è stata ricoverata in ospedale per 30 giorni a seguito di una crescente perdita di peso e disidratazione dovuta ad un grave attacco di vomito, per poi essere trasferita al reparto specializzato del S.A.M.CO di Barrancas dove i medici verificano la presenza di sostanze chimiche nel sangue, rilevando alte concentrazioni di glifosato.
La casa della famiglia Terreno si trova accanto un deposito di prodotti agro-chimici, il cui stoccaggio nelle aree urbane è vietato, di proprietà della ditta José Pagliaricci (azienda di trasporti) il cui proprietario sembra sparito nel nulla.
Il prolungato contatto con questo stabile, nel quale sono state rinvenute grandi quantità di Roundup (l’erbicida prodotto da Monsanto tramite l’impiego di glifosato), ha avvelenato il sangue della bambina facendone l’ennesima vittima delle multinazionali del settore, per una sperimentazione animale che si estende su ogni vivente, che sia direttamente o indirettamente coinvolto.
Dal 1996 l’Argentina è teatro di una costante avanzata delle monocolture geneticamente modificate (che hanno convertito il 70% delle terre locali) con il conseguente impiego di sostanze agro-tossiche, su tutte il glifosato: principio attivo dell’erbicida Roundup creato appositamente da Monsanto per il trattamento della soia GM prodotta dalla multinazionale stessa.
La complicità dei governi, permissivi e al soldo delle multinazionali, è risaputa, e mentre in Europa le istituzioni “competenti” continuano a dibattere sulla “presunta” tossicità e cancerogenicità del glifosato, sui campi e nei laboratori si continua a morire.

RS

Fonte: conclusion