Litio, Coltan e Cobalto: il makeup delle multinazionali

La corsa a fonti combustibili alternative, con annesse campagne di greenwashing promosse dalle multinazionali del settore, è l’emblema di come nulla può cambiare al cospetto di un sistema che, oltre all’immagine da fornire a consumatori e consumatrici, non nutre reali interessi verso modelli estrattivi e produttivi sostenibili, se non la ricerca di nuove sorgenti energetiche da poter prosciugare.
Ne è un esempio l’Eni, multinazionale italiana che, famosa per il disastro ambientale provocato sul Delta del Niger in collaborazione con l’olandese Shell, qualche anno fa si fece tra le pioniere dei biodiesel ottenuti attraverso la combustione di olio di palma, sostanza importata da Indonesia e Malesia con conseguenze ormai ben note a discapito delle foreste del Borneo e non solo: il 4% delle terre agricole e il 3% dell’acqua dolce della Terra sono stati utilizzati per la produzione di biocarburanti nel solo 2013, quantitativo di risorse sufficiente a sfamare 280 milioni di persone se impiegate in agricoltura.
Passato il boom dei biodiesel, combustibili comunque ancora in lavorazione all’interno di ex raffinerie di petrolio come l’impianto Eni di Porto Marghera dove, ad incremento della produzione, verranno presto impiegati anche grassi di origine animale, nella più classica delle opere di normalizzazione dello sfruttamento di chi viene ritenut* schiav* già per altre ragioni.
L’affannosa ricerca a fonti energetiche che possano vestire di verde le multinazionali, ora si è spostata sull’estrazione di minerali per l’alimentazione di batterie e motori elettrici: litio e cobalto su tutti.litio
Prodotto sopratutto in Sud America dove si trovano i depositi più grandi al mondo, il litio viene estratto principalmente da due laghi salati presenti in Chile e Bolivia.
Il Salar de Uyuni, in Bolivia, rappresenta la più grande distesa salata del mondo, copre un’area di 10.000 chilometri quadrati e si dice che contenga oltre 5.000.000 di tonnellate di litio.
In Chile questo metallo viene estratto dal Salar de Atacama, nella catena montuosa delle Ande della regione di Antofagasta, che raggiunge un’estensione di 3.000 chilometri quadrati.
Nel 2009 l’azienda Rockwood, responsabile della produzione di litio in Atacama, ha avviato un’opera di ampliamento dei pozzi estrattivi che ha ridotto notevolmente le risorse idriche e l’accesso ad acqua potabile da parte delle comunità che popolano l’area, oltre che del fenicottero andino il cui habitat è rappresentato dal lago salato in questione.defensa_salar_de_atacama
Le opere estrattive del litio consumano grandi quantità di acqua spesso pompata dal sottosuolo, un’aspetto che ha già provocato l’abbassamento delle risorse idriche sotterranee.
Il litio al momento viene utilizzato per la produzione di batterie destinate a telefoni cellulari, computer portatili, batterie per veicoli elettrici e come componente delle leghe aerospaziali.
I 2/3 della produzione mondiale di cobalto, invece, proviene dal Congo, terra già tristemente famose per i regimi di schiavitù e lo sfruttamento del lavoro minorile per l’estrazione di un altro minerale largamente utilizzato dalle multinazionali dell’Hi-tech (Alta Tecnologia): il coltan.
L’80% del coltan esportato nel mondo proviene dalle miniere del Congo dove, si stima, siano circa 40.000 i bambini e le bambine impegat* nelle opere estrattive a benefito di una manciata di multinazionali: Ahong, Apple, BYD, Daimler, Dell, HP, Huawei, Inventec, Lenovo, LG, Microsoft, Sony, Vodafone, Volkswagen, ZTE e Samsung.
Estratto ad oltre 45 metri di profondità, il cobalto come il coltan sono minerali utilizzati nell’elettronica mobile e l’elettromobilità, la cui domanda ha subito una notevole impennata a seguito della realizzazione di veicoli elettrici.
Lo smaltimento di queste nuove risorse in monopolio al sistema capitalista, tanto del litio quanto del cobalto, è spesso soggetto a un business sporco, tra fanghi tossici pompati direttamente in aree verdi per alleggerire i costi di gestione, e tecniche che vedono gli escavatori dilaniare interi tratti di terre per accelerare le opere estrattive, con la conseguente perdita del patrimonio vegetale e animale.
Negli ultimi cinque anni la presenza di gorilla nell’area dei bassipiani orientali del Congo è calata del 90%, a causa dell’espansione delle miniere e dello stato di povertà patito dalle popolazioni locali di minatori, spesso costretti a cacciarli per poi rivenderne la carne agli eserciti ribelli che controllano le zone colonizzate per l’estrazione mineraria.
La Terra come un supermercato, foreste e distese d’acqua reparti da cui le varie multinazionali si servono a seconda del settore di competenza e delle esigenze di mercato.
Questa, in sintesi, la visione che il sistema capitalista ha delle risorse della Terra, declassate a strumenti di guadagno a favore di chi per primo ne ottiene il monopolio.

RS

Fonti: ejatlas genteveneta zdf