In principio furono i PCB – su Caffaro, Monsanto e glifosato

Nel febbraio e nel maggio del 1970, prima a Francoforte e poi a Bruxelles, ben due incontri videro sedersi allo stesso tavolo di discussione gli amministratori delegati delle multinazionali Bayer, Prodelec, Monsanto e dell’industria chimica Caffaro di Brescia, per discutere sulla pericolosità ambientale e sociale in relazione alla produzione di PCB: isolanti utilizzati sino alla fine degli anni ’80 nei trasformatori delle fabbriche elettriche.
Nonostante i dati inerenti alla pericolosità della sostanza appartenente alla famiglia delle diossine fossero già a disposizione delle multinazionali interessate, la decisione consensuale fu quella di proseguire con la produzione.
Per oltre 40 anni, tra il 1938 e il 1984, l’industria Caffaro, oltre alla lavorazione di cloro, mercurio, arsenico e tetracloruro di carbonio produsse (con la denominazione di Flencor) PCB per conto di Monsanto che negli anni ’30 ne brevettò il composto all’epoca impiegato come lubrificante e isolante termico.
Industria chimica fondata nel 1906, la Caffaro ha sede nella zona sud di Brescia, tra i quartieri Primo Maggio e Chiesanuova, terreni e falde acquifere definitivamente avvelenati da un insieme di benzene, solventi, diossine e PCB emessi negli anni dall’azienda.
Negli anni ’70, quando le esalazioni provenienti dall’industria iniziarono a sortire le prime preoccupazioni vista la morte dei campi adiacenti allo stabilimento, la Caffaro risolse la questione acquistando i terreni contaminati e di fatto insabbiando l’accaduto.
Oggi si stima che siano 300 gli ettari di terra avvelenati, oltre 2.000 quelli inerenti alle falde acquifere inquinate attraverso i canali artificiali di drenaggio scavati all’epoca quando dall’industria venivano emessi 10 chili di PCB ogni giorno.
Ma il caso Caffaro, i relativi insabbiamenti sulla pericolosità dei PCB, le omissioni e i ritardi di bonifica dell’area reiterati nel tempo, dovrebbero destare inevitabili riflessioni su come ancora oggi vengano affrontate determinate questioni, sopratutto quando si tratta di mettere sul piatto della bilancia profitto e salute ambientale.
Se negli anni ’70 la verità sui PCB era ben nota alle multinazionali produttrici, la stessa cosa vale oggi per quanto riguarda glifosato e sostanze similari, non a caso prodotte dalla stessa Monsanto, dal 1901 specializzata in armi di distruzione di massa al quale elenco si aggiungono DDT e Agent Orange.
Nonostante i numerosi precedenti di avvelenamento registrati in Argentina, la recente scomparsa di Fabian Tomasi, il caso Dewayne Johnson e quanto emerso dalla desecretazione dei Monsanto Papers, centinaia di registri contraffatti, scritti da dipendenti Monsanto e firmati da scienziati al soldo della multinazionale che per anni hanno avuto lo scopo di mascherare la reale tossicità del glifosato, le istituzioni continuano a normalizzarne l’impiego.
Il 12 dicembre 2017, grazie al decisivo voto della Germania dove la presenza dell’erbicida è stata rilevata nel 96% delle persone (sopratutto in soggetti che consumano carne e derivati animali), la commissione dell’Unione Europea, con la complicità delle agenzie europee ECHA (Agenzia europea delle sostanze chimiche) ed EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) che proseguono a negarne la tossicità, ha rinnovato la licenza di utilizzo del glifosato per altri 5 anni.
La storia si ripete e anche di fronte all’evidenza, la libertà della Terra e di chi la popola viene subordinata ad istituzioni e multinazionali alle quali, di fatto, si permette il monopolio di terre e viventi, delegando e assumendo passivamente i provvedimenti calati dall’alto.
La bonifica dell’area inquinata dalle operazioni dell’industria Caffaro, un tempo prevista per l’aprile 2019 e di cui si discute dal 2002 tra scarichi di responsabilità e rinvii, è slittata (forse) al 2020.
Il progetto, dato in appalto ad Aecom, multinazionale statunitense ad essersi aggiudicata il bando europeo che le frutterà 65.000 di euro, prevede un intervento preliminare per la messa in sicurezza della falda acquifera in un’area ad oggi popolata da circa 25 mila persone che quotidianamente entrano in contatto con la zona d’interesse.

RS

Fonti: giornaledibrescia espresso internazionale