Mobilitazione indigena

non un centimetro di terra sarà demarcato per riserve indigene o quilombo (discendenti di comunità africane che si librarono dalla schiavitù nelle piantagioni).
Facciamo il Brasile per le maggioranze.
Le minoranze devono inchinarsi alle maggioranze.
Le minoranze si adatteranno o semplicemente scompariranno.

Il piano di Bolsonaro per il Brasile delle “maggioranze” sta prendendo forma, punto centrale: strappare alle popolazioni indigene ogni centimetro di terra convertibile a beneficio dell’industria, con attenzioni particolari verso le multinazionali minerarie e dell’agrobusiness: i primi due settori a determinare l’attuale crisi climatica.
Il fine è quello di subordinare l’integrità delle terre e la relativa libertà di chi le popola al pieno dominio del capitalismo, offrendo libero sfogo all’operato delle varie compagnie interessate.
Processo agevolato dall’attuazione della Misura M870 che prevede l’estinzione di alcuni ministeri e la conseguente redistribuzione delle responsabilità ad altri enti.
Il primo passo ha visto l’accorpamento del ministero dell’ambiente a quello dell’agricoltura, composto perlopiù da rappresentanti di multinazionali e dell’industria dell’agrobusiness.
Quello successivo la cancellazione della Fundação Nacional do Índio (FUNAI), organizzazione governativa un tempo responsabile della demarcazione delle terre indigene, ora tramutato in potere da applicare a discrezione del ministero dell’agricoltura.
L’operato del FUNAI ha permesso negli anni passati di ostacolare o quanto meno rallentare l’espansione delle produzioni di canna da zucchero, eucalipto e soia.
Quest’ultima, una monocultura intensiva geneticamente modificata il cui ricavato è totalmente destinato all’industria della carne e dei derivati animali, ha già portato alla conversione di 240 mila gli ettari di terra data in monopolio a 5 tra le principali multinazionali del settore: LD (Louis Dreyfus), Bonge, ADM, Cargill e Monsanto.
Ma oltre ai monopoli agricoli e ai progetti estrattivi che occupano già buona parte della foresta amazzonica brasiliana con la presenza delle multinazionali minerarie Mirabela Nickel e BHP, Belo Sun, Kinross Gold, Yamana Gold, Glencore, Anglo-American, Rio Tinto, e Alcoa, altrettante terre rischiano di essere sacrificate a vantaggio del piano decennale 2014-2023 per l’incremento energetico.
Piano energetico che, nonostante il recente disastro socio/ambientale causato dal crollo della diga Vale di Brumadinho, prevede l’installazione di oltre 23 mega dighe per la produzione di energia idroelettrica.diga-brumadinho-bolsonaro-miniere-Vale-SA-e1548867159995
Un progetto che in questi anni ha già visto la forte opposizione di numerose popolazioni indigene, ultimo baluardo a difesa della Terra, poco propense a riconoscere come vittoria la concessione per legge di terre ancestrali popolate e tutelate da centinaia di anni.
Tra queste i Munduruku, popolo indigeno dell’Amazzonia brasiliana, la cui resistenza dal 2014 ha permesso di rallentare le espansioni minerarie e il sorgere di nuove dighe.
Resistenza frutto di quell’autodeterminazione recentemente rinnovata in occasione dell’incontro annuale tenuto dalle Mujeres Munduruku tra il 30 gennaio e il 2 febbraio scorsi, al termine del quale hanno ribadito la ferma intenzione di rispondere con l’azione diretta ad ogni deriva capitalista che minacci la libertà delle terre abitate.

PP

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Fonte: avispa