I Guardiani della Foresta

Una città chiamata Shell, nome che rimanda volutamente al colosso petrolifero olandese, per simboleggiare la decennale penetrazione da parte delle multinazionali del settore sin nel cuore dell’Amazzonia.
Un business che vede Perù ed Ecuador tra le terre maggiormente colpite, e che con il settore agro-chimico-alimentare (industria della carne e dei derivati animali, monocolture e pesticidi) investe l’America Latina in generale di quel triste primato che la pone in vetta alle aree della Terra dove si registra il più alto numero di ambientalisti assassinati (tra membri delle popolazioni indigene e solidali).
L’ultima uccisione, di cui si abbia notizia, ha visto coinvolta Olivia Arévalo Lomas, una donna di 81 anni leader degli Shipibo-Konibo (tribù indigena peruviana che vive sulle sponde del fiume Ucayali) freddata in pieno giorno da 5 colpi di arma da fuoco, da sicari la cui identità e mandanti sono ancora sconosciuti.
La distruzione delle foreste tropicali rappresenta circa l’8% delle emissioni annuali di biossido di carbonio del mondo, livelli appena inferiori a quelli emessi dai soli Stati Uniti e molto più elevati di quelli dell’Unione Europea.
Si stima che al momento siano almeno 1.800 i chilometri quadrati di foresta pluviale primaria minacciati da progetti petroliferi, operazioni estrattive che con il settore minerario rappresentano il secondo fattore a provocare l’attuale crisi climatica.
Tra le terre maggiormente colpite dalle trivellazioni ci sono quelle dell’Ecuador, storico teatro di saccheggio da parte della statunitense Chevron che per oltre 20 anni ha provocato l’irreversibile avvelenamento delle aree interessate.
Le operazioni condotte da Chevron attraverso la controllata Texaco hanno causato, tra il 1964 e il 1992, l’intenzionale sversamento di oltre 60 miliardi di litri di acque reflue tossiche nei fiumi, segnando l’estinzione di due tribù indigene e determinando i circa 2.000 casi di cancro che si sarebbero verificati negli anni successivi, per quello che ancora oggi viene identificato come il più grave disastro ambientale nella storia del paese.
Testimoni di un avvelenamento che perdura nel tempo sono le vasche nere di contaminazione petrolifera nei pressi della città amazzonica nel nord di Lago Agrio (provincia di Sucumbíos), dove la compagnia Texaco ha scaricato i suoi rifiuti per decenni prima che le comunità locali decidessero di citarla in giudizio nel 1993.
Inquinamento per cui Chevron nel 2011 era stata condannata a risarcire le comunità colpite con 9,5 miliardi di dollari, sentenza successivamente cancellata prima da una corte del Canada e poi da una dei Paesi Bassi in quanto la controllata Texaco sarebbe stata acquisita dalla multinazionale statunitense solo nel 2001.
Cavilli e magheggi che non intaccano la determinazione delle popolazioni indigene, decise ad arrestare l’avvento di ulteriori compagnie petrolifere.
Il 27 febbraio scorso, oltre 250 membri della tribù Waorani hanno manifestato per le vie della città di Pujo (capitale della provincia di Pastaza), annunciando la volontà di intentare una causa contro il governo dell’Ecuador reo di avere svenduto terre indigene all’industria petrolifera, senza consultazioni ne avvisi. waorani
La comunità indigena per lungo tempo ha espresso la propria contrarietà ad un’asta petrolifera che coinvolge l’Amazzonia sud-orientale.
Il governo dell’Ecuador, per favorire l’insediamento delle multinazionali del settore, ha diviso la regione in 13 blocchi, uno di essi (il Blocco 22) si sovrappone quasi interamente alle terre ancestrali Waorani, dove risiedono 16 diverse comunità.
Con circa 4.800 membri, i Waorani (che tradotto significa guardiani della foresta) difendono 800.000 ettari di giungla tra le province di Pastaza, Napo e Orellana, terre ancestrali riconosciute come patrimonio indigeno, ma il cui sottosuolo è demanio dello stato che ne rivendica la proprietà e convalida il via liberà alla colonizzazione da parte di nuove compagnie petrolifere.
Dopo oltre due mesi di proteste e manifestazione, il 26 aprile il tribunale di Pujo emette una sentenza che riconosce l’autodeterminazione dei Waorani, ponendo comunità indigene e terre difese prima degli interessi economici.
Un precedente storico che però non fa storia.
Quella la scrivono nel quotidiano popoli indigeni come i Waorani attraverso una Resistenza dalle origini antiche, ultimo baluardo a difesa della Terra che non necessita dell’intervento delle istituzioni perché ne venga riconosciuto il valore.

VM

fonti: mongabay tpivistazo reuters