Un nobel in prigione

Bayarjargal Agvaantseren (Mongolia)
Ha contribuito a creare un’enorme riserva naturale nel deserto dei Gobi del Sud – un habitat critico per il vulnerabile leopardo delle nevi – e ha persuaso il governo a cancellare tutti i contratti minerari all’interno della riserva.

Alfred Brownell (Liberia)
Ha impedito la bonifica di una vasta area delle foreste tropicali della Liberia destinate al mercato dell’olio di palma.

Ana Colovic Lesoska (Macedonia settentrionale)
Ha condotto una campagna di sette anni per porre fine ai finanziamenti per la realizzazione di due grandi impianti idroelettrici previsti per un parco nazionale.

Jacqueline Evans (Isole Cook)
Per il suo impegno della difesa della biodiversità marina, incoraggiando la nuova legislazione a gestire e conservare in modo sostenibile il territorio oceanico del paese.

Linda Garcia (Stati Uniti)
Per aver mobilitato i residenti locali a fermare la costruzione di un grande terminal per l’esportazione di petrolio a Vancouver, Washington.

Alberto Curamil (Chile)
Per aver mobilitato le comunità Mapuche dell’Araucania contro la costruzione di due dighe idroelettriche sul sacro fiume Cautín, nel Cile centrale.

Questa la lista dei/delle vincitori/trici 2019 del Goldman Environmental Prize: l’equivalente del premio Nobel in relazione alla tutela ambientale.
Un riconoscimento assegnato a quelle persone che attraverso mobilitazioni, lotte, sensibilizzazioni e azioni dirette si sono distinte per aver posto la Liberazione della Terra, e quindi di ogni esistente, davanti al proprio essere.
Un premio che quest’anno è lo specchio dell’attuale clima repressivo, un fenomeno che oscilla tra la sistematica criminalizzazione di chi si oppone a devastazione e dinamiche oppressive, e la normalizzazione di ciò che va a vantaggio del sistema capitalista.
Un teatro dell’assurdo che nel suo ultimo atto vede uno dei vincitori del premio in questione attualmente detenuto in carcere, a seguito delle stesse ragioni per cui gli è stato assegnato il riconoscimento.
Nell’agosto 2018 Alberto Curamil, leader dell’Alianza Territorial Mapuche (ATM), viene arrestato al culmine di un lungo processo di persecuzione politica, nell’ambito di quell’opera che vede la militarizzazione delle terre ancestrali e la conseguente criminalizzazione della Resistenza Mapuche.D5UwoucU4AAhoce
Un fenomeno, questo, che dall’omicidio di Camilo Catrillanca nel novembre 2018, primo Mapuche assassinato dal Comando Jungla, ha subito una costante escalation volta all’annientamento di un popolo simbolo dell’opposizione diretta alle dinamiche di dominio dispensate dal capitalismo.
I/le Mapuche, letteralmente “popolo della Terra”, vivono un rapporto simbiotico con fiumi e animali come i loro fratelli. Nel 19° secolo, l’esercito cileno invase la regione dell’Araucanía, terra ancestrale Mapuche, svendendola ad investitori ed imprese private tra cui Angelini, multinazionale italo/cilena.
Oggi, l’Araucanía è la regione più povera del Cile, con circa un terzo della popolazione che vive al di sotto della soglia.
Una delle eredità del trentennale regime dittatoriale di Pinochet è stata la privatizzazione delle risorse idriche del Cile.
Il codice nazionale delle acque del paese, adottato nel 1981, ha eliminato questa risorsa come bene comune per le persone, consegnandone il demanio ai migliori offerenti.
Gli effetti di questo sono stati particolarmente avvertiti dai Mapuche, che dipendono dai fiumi per il loro sostentamento e considerano sacre queste acque.
Tra il 2010 e il 2015, il ministro dell’energia del Cile ha annunciato un massiccio piano energetico che includeva 40 grandi progetti idroelettrici sui fiumi dell’Araucanía.
Nell’ambito di tale piano, il governo in collaborazione con le multinazionali SwissHydro e Agrisol progettavano di costruire, senza consultare le comunità Mapuche, due progetti idroelettrici multimilionari sul fiume Cautín, nel cuore delle terre Mapuche.
I progetti, noti rispettivamente come Alto Cautín e Doña Alicia, avrebbero deviato oltre 500 milioni di litri d’acqua al giorno dal fiume Cautín per la produzione di energia.
Un’opera di accaparramento delle risorse naturali che nel 2013 ha visto la risposta del popolo dell’Araucania, grazie alle proteste e alla mobilitazione promossa da Curamil a difesa del fiume Cautin.
E mentre oggi le truppe private di Pinera dispiegate tra le foreste dell’Araucania e del Bio Bio proseguono l’opera di rastrellamento Mapuche, Alberto resta in carcere, nonostante la realizzazione delle dighe sia stata sospesa nel 2016 e gli stessi tribunali abbiano riconosciuto la nocività dei progetti in questione.

PP

fonti: bbc goldmanprice