Il costo della carne

L’industria della carne e dei derivati animali rappresenta la perfetta sintesi tra quei sistemi di sfruttamento che monopolizzano e gestiscono le varie risorse della Terra.
Che si tratti di ingrassare le tasche di Cremonini, McDonald’s, Burger King e simili, o di rifornire la GDO (grande distribuzione organizzata), le pratiche applicate sono sempre le stesse ad incominciare dalla colonizzazione delle terre che, da tasselli fondamentali di quel mosaico forestale da cui dipendono gli equilibri globali, vengono convertite in monocolture intensive.
Quelle maggiormente colpite sono le foreste dell’Amazonia dove l’80% della deforestazione è provocato dall’industria della carne e dei derivati, dal proliferare degli allevamenti e dalle conseguenti monocolture di soia e mais (in prevalenza geneticamente modificate) destinate a l’alimentazione forzata di chi viene considerato solo in relazione al guadagno che deriva dal loro sacrificio: gli animali non umani.stalle-per-bovini-01
Monocolture che richiedono un impiego intensivo di sostanze agrochimiche, con le multinazionali del settore che spesso sono fornitrici sia dei semi ogm che dei pesticidi necessari. Come nel caso della varietà di soia Roundup ready che richiama l’utilizzo dell’omonimo Roundup, erbicida a base di glifosato, entrambi di proprietà del duo Monsanto-Bayer.
Sostanze agrochimiche, deiezioni e acque reflue derivanti dagli allevamenti animali il cui smaltimento ricade direttamente su falde acquifere e bacini idrici naturali in generale.A5 ogm_pesticidi
Oltre ai più che ovvi interessi economici delle varie multinazionali che controllano i suddetti settori, a determinare questi fenomeni ci sarebbe un’errata distribuzione dei sussidi annuali destinati agli agricoltori.
Un recente rapporto FAO delle Nazioni Unite ha infatti rivelato come il 90% dei 540 miliardi di dollari investiti ogni anno siano dannosi.
Danneggiano la salute delle persone generando maggiore dipendenza verso le case farmaceutiche, alimentano fenomeni come la crisi climatica e la distruzione dei vari ecosistemi, favoriscono la diseguaglianza sociale attraverso l’esclusione dei “piccoli” agricoltori, molte delle quali donne.

Questo rapporto è un campanello d’allarme per i governi di tutto il mondo affinché ripensino i regimi di sostegno all’agricoltura per renderli adatti allo scopo di trasformare i nostri sistemi agroalimentari e contribuire a quattro aspetti fondamentali: miglior nutrizione, miglior produzione, migliore ambiente e una migliore vita

A ricevere i maggiori sussidi è quell’industria della reclusione che non fabbrica solo vittime del consumismo attraverso la produzione di carne e derivati animali, ma è anche alla base delle più elevate emissioni di gas serra.
Il rapporto evidenzia come nei paesi più “sviluppati” economicamente il sostentamento destinato all’industria della carne e dei prodotti lattiero-caseari sia fuori misura, mentre in quelli a basso reddito i sussidi vengono concentrati su fertilizzanti chimici e pesticidi: agenti inquinanti e potenziali sostanze cancerogene per chi ne fa uso.

Fabian Tomasi, fumigador argentino ucciso dal glifosato

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Ma il dato scioccante che emerge dalle numerose analisi condotte in questi ultimi anni è rappresentato dall’enorme divario tra il valore dei sussidi e quello che è il danno economico provocato dalla loro emissione: 12 trilioni di dollari all’anno!
Un costo estremamente superiore al valore del cibo prodotto, a cui va sommato lo spreco di almeno 1/3 delle derrate alimentari immesse nel mercato che vengono sistematicamente gettate.
Tutto questo mentre 800.000.000 di persone nel mondo continuano a soffrire la fame, e circa 150.000.000.000 di animali vengono sacrificati ogni anno, cifra che riguarda le sole vittime degli allevamenti tra l’altro.
E nell’attesa che i governi ignorino anche questo rapporto rimandando provvedimenti che dovevano essere applicati da decenni, a noi pedine del mercato restano le scelte quotidiane con le quali influenzare positivamente o negativamente questi fenomeni, piccoli gesti che possono spostare equilibri basilari nella lotta per un’equità sociale che non lasci indietro nessuno.
Perché il veganismo non è una moda e l’antispecismo non è un business!

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