Pesca pescatori e pescati

Quando si parla di Liberazione Animale spesso viene commesso l’errore di estromettere l’umano da questa categoria, restringendo il concetto ai soli animali non umani.
Nel corso degli anni questa incoerenza ha portato allo svilupparsi di assolutismi tra i quali “per gli animali va bene tutto”, aprendo e accogliendo infiltrazioni di estrema destra che non hanno nulla a che vedere con il concetto di Liberazione.
Oltre a questo aspetto c’è anche l’atteggiamento riservato a chi riveste professioni che prevedono, sostengono e provocano schiavitù e sofferenza animale, additati a prescindere come aguzzini senza alcuna interpretazione del contesto o tentativo di scindere tra quelli che sono i vari sistemi di sfruttamento e chi li subisce.
Tra questi ci sono anche i lavoratori, molto spesso costretti da questioni politiche, economiche o di sopravvivenza ad accettare posti di lavoro non per vocazione, ma per la mancanza di alternative, come nel caso di Sepri.
Sepri è uno dei tanti impiegati della Dalian Ocean Fishing, compagnia cinese specializzata nella pesca del tonno, ad aver perso la vita a causa delle condizioni di lavoro a cui i pescatori sono costretti.dalian
La Cina detiene la più grande flotta di pescherecci di altura del mondo, mentre l’Indonesia rappresenta il più fertile fornitore di mano d’opera a basso costo del settore: tra il 2019 e il 2020 almeno 30 pescatori indonesiani sono morti su imbarcazioni cinesi a causa di malattie sconosciute.
Quella di Sepri è la storia di molti migranti costretti a scappare dall’isola di Sumatra a causa della continua estensione delle monocolture di palme da olio, a sottolineare ancora una volta come il mercato, il consumismo e le scelte quotidiane influenzino fenomeni ritenuti distanti o di scarso interesse.
Spinto dalla carenza di alternative, attirato da un salario che ammontava al doppio della cifra che guadagnava nella provincia di South Sumatra, un giorno Sepri ha risposto ad un annuncio reperito su facebook che coinvolse altri 7 suoi amici indonesiani, ma l’impiego accettato dai ragazzi si rivelò presto l’equivalente dei lavori forzati.
A bordo dei pescherecci della compagnia cinese, che non rientrano in porto per periodi di oltre 2 anni, la prassi prevede percosse ai danni dei pescatori che si rifiutano di coprire turni di 18 ore, i quali vengono nutriti con cibo avariato, spesso le stesse esche utilizzate nella pesca e acqua non potabile.
Neanche la morte di Sepri, avvenuta nel dicembre 2019 a seguito di una crisi respiratoria che lo fece collassare sul punte di una delle navi, ai medici è stato concesso l’accesso diretto alle imbarcazioni della Dalian Ocean Fishing, costretti così ad ipotizzare le patologie di cui i marinai potrebbero essere affetti solo in base alla descrizione dei sintomi.
Numerosi marinai hanno sviluppato una malattia sconosciuta caratterizzata dalla dilatazione di alcune parti del corpo, altri hanno contratto il beriberi che può portare ad insufficienza cardiaca o la sindrome nefrosica, una patologia dei reni.
Giustifichiamo depredazioni quotidiane invocando il ciclo della vita o la piramide alimentare, scaricando sempre le responsabilità su fattori all’apparenza incontrollabili.
Ma Sepri è stato costretto a scappare dalla propria casa a causa della costante espansione di un mercato che 30 anni fa non esisteva.
Ha dovuto accettare un lavoro che probabilmente non avrebbe mai voluto fare, che oltre a condurlo alla morte lo costringeva ad estirpare altri animali dal proprio habitat.
Animali non umani di cui si dice non si percepisca il dolore, ma se c’è una cosa che accumuna le creature ittiche e Sepri sono proprio quelle urla assordanti divorate dal sistema capitalista come le loro vite.

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