Climate Crisis: una questione economica – part 2

Le mascherine hanno rapidamente sostituito i sacchetti di plastica desolatamente abbandonati agli angoli delle strade, testimonianza di come a fronte di un’emergenza determinati aspetti vengano subordinati o, addirittura, ignorati per poi ripresentarsi sotto forma di un problema differente.
Come evidenziato anche dall’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite, gli sforzi per la ripresa da Covid-19 avrebbero dovuto includere o quanto meno allinearsi alle strategie per la prevenzione dei cambiamenti climatici, mentre è stata affrontata non pensando alle conseguenze collaterali.
Un approccio settoriale che si rispecchia nel modo in cui viene condotta la discussione sulla crisi climatica da parte di chi dovrebbe prendere decisioni a difesa del pianeta e, di conseguenza, di chi lo abita, ma che vira pericolosamente verso la tutela delle attività economiche.
La natura però non conosce separazioni, i vari ecosistemi si autoregolano a vicenda ed ogni fonte di stress ricade uniformemente sui delicati equilibri che determinano i ritmi della Terra.
Emblematico il caso della balena nordatlantica, il cui processo di estinzione si era arrestato dopo lo stop alla caccia, ma che recentemente ha fatto registrare una ripresa a causa di effetti generati da l’operato umano: agenti inquinanti che ne riducono la fertilità, il rumore generato dai motori delle barche, le esplorazioni finalizzate ad estrazioni petrolifere e di gas.
Numerose balene, tra le quali al momento si contano solo 95 esemplari in età riproduttiva, rimangono ferite e/o uccise quando vengono colpite da imbarcazioni o entrano in contatto con gli arnesi impiegati nella pesca.
Una vulnerabilità sviluppata a seguito una migrazione forzata che le vede abbandonare il proprio habitat a causa della crisi climatica, per mettersi alla ricerca del loro alimento basilare: il Calanus
Questo piccolo crostaceo, costretto a sua volta a spostarsi per il riscaldamento delle acque, viene anche braccato per l’intensificarsi della pesca industriale volta al commercio di integratori a base di olio di pesce, eroneamente ritenuti benefici per la salute umana.
Il declino della balena nordaltantica potrebbe essere quindi ricondotto a fattori legati all’inquinamento, alla pesca, al traffico marittimo o all’acidificazione degli oceani, ma tutti questi aspetti andrebbero riassunti sotto il cappello di una sola categoria: l’operato umano.
Operato umano che condiziona anche altre migrazioni forzate, quelle di intere popolazioni obbligate a spostarsi a causa di fenomeni quali landgrabbing (furto di terreni), regimi repressivi spesso alimentati dalle multinazionali che nutrono interessi economici nello sfruttamento di determinati territori, situazioni climatiche sempre più precarie.
Quando le barriere coralline subiscono un indebolimento provocato dall’industria della pesca, dall’inquinamento e dallo sbiancamento causato dall’innalzarsi delle temperature, sono meno in grado di resistere agli eventi climatici estremi, come i cicloni tropicali intensificati anche dalle sempre crescenti emissioni di combustibili fossili.
La neo-colonizzazione delle foreste pluviali, frammentate dal taglio del legname, dalle monocolture intensive e dall’industria della carne, le rende maggiormente vulnerabili a periodi di siccità e agli incendi causati dalla crisi climatica: solo il 3% della superficie terrestre può essere considerato ecologicamente integro.
A questo si aggiunge l’estrazione e la lavorazione di quei minerali, coltan e cobalto su tutti, necessari per la realizzazione di magneti e batterie.
Processi estrattivi che, oltre ad alimentare guerre civili e diseguaglianze sociali all’interno dei paesi colpiti, provocano la distruzione di numerosi habitan liberando ulteriori agenti inquinanti.
Ma la gestione della crisi climatica può assumere risvolti ulteriormente grotteschi, strumentalizzata ad alibi quando si tratta di giustificare l’operato umano volto alla tutela delle attività economiche.
Come nel caso delle estrazioni minerarie dal fondo dell’oceano, mascherate da un alone di sostenibilità a tutela delle superfici terrestri, e condotte senza la verifica di quali impatti potrebbero provocare a lungo termine.
…bla bla bla bla, il commento di Greta rivolto all’operato delle istituzioni riassume al meglio il concetto espresso in queste poche righe.
Un’esponenziale sfiducia verso un sistema che dimostra apertamente di non nutrire alcun interesse verso la tutela dell’ambiente che circonda ed ospita tutti quanti: una Terra che non discrimina, ma che viene violata ogni giorno.

Leggi anche
Climate Crisis: una questione economica – part 1

fonte