8 marzo: tra memoria, realtà contemporanee, obiettivi da raggiungere

operaie dell’industria tessile Cotton di New York, 1908.

8 marzo 1908: in una fabbrica di New York scoppia un incendio devastante che costa la vita di centinaia di donne. Da quel giorno, questa diventa la data nella quale si celebra l’essere donna.
Una festa, sì, ma senza dimenticare il significato che porta con sé, ricordando le vittime del passato e quelle attuali: lo sfruttamento delle donne non si è mai arrestato e oggi vive nella prostituzione, nelle violenze domestiche, in quelle nel mondo del lavoro e in numerose fabbriche e piantagioni di cui magari non conosciamo neanche l’esistenza.
Esistono stabilimenti gestiti da multinazionali, come Nike, McDonald’s, Adidas, Disney, dove le donne sono impiegate per turni di lavoro estenuanti, a contatto con sostanze chimiche altamente nocive e senza che sia dato loro alcun mezzo per tutelarsi.
Migliaia di donne, soprattutto in Vietnam, Cina, India, Thailandia, ma anche nell’America del sud, passano le proprie giornate a cucire scarpe che saranno poi vendute nei paesi occidentali, a immergere le sorprese degli Happy Meal (prodotte da mani di minori) in sostanze altamente nocive, che respirano e con cui a volte entrano a diretto contatto, o ad assemblare i pupazzi raffiguranti noti personaggi di fantasia venduti nei Disney Store di tutto il mondo.
Non vanno dimenticate tutte quelle donne vittime di violenza sessuale, soprattutto in India, una condizione che è stata portata agli occhi dell’attenzione mondiale dopo il fatto accaduto il 23 dicembre del 2012, quando una ragazza aggredita pochi giorni prima su un autobus morì a causa delle ferite riportate.
Una triste realtà che le donne locali di ogni età vivono da molti anni, ma che era sempre stata taciuta grazie anche all’incompetenza e all’indifferenza di un corpo di polizia corrotto e dei governi fermi a guardare, così come dai discutibili criteri di notiziabilità della stampa mondiale.
In Congo, invece, vige una condizione se possibile ancora più brutale, mirata a mantenere il controllo delle popolazioni e dei giacimenti minerari come quelli di coltan, un elemento che serve alle grandi aziende tecnologiche per produrre cellulari, computer e lettori dvd.
Guerriglieri locali, riforniti di armi dalle multinazionali che commerciano il coltan, seminano il terrore violentando quotidianamente le donne del luogo, una pratica usata per costringere i mariti e i figli a lavorare nelle miniere.
Ma non c’è bisogno di guardare lontano per trovare casi di violenze: in Italia si registrano ogni anno numerose vicende che si consumano anche tra le mura domestiche e spesso molte accadono senza che venga data loro voce.
Vi sono poi tutte quelle persone appartenenti a tribù e a popoli costantemente sfruttati, di cui non è possibile conservare ricordo perché spesso assassinate silenziosamente da quegli squadroni della morte assoldati dalle grandi corporazioni.
A questo proposito, vi segnaliamo un appello da sottoscrivere rivolto ai principali produttori di cioccolato come Nestlé (e di conseguenza la Perugina) e tutti i prodotti a marchio Mars.
Questo appello, cui potete accedere cliccando qui, ha lo scopo di far sì che le aziende in questione applichino maggiori forme di tutela dei diritti delle donne e dei bambini che quotidianamente vengono impiegati nelle piantagioni di cacao, in paesi africani, come la Costa d’Avorio.
Vi invitiamo a compilare questo appello online: pochi secondi del vostro tempo affinché chi viene impiegato in queste agricolture possa ottenere più libertà.
Persone che vengono fatte lavorare per molte ore di fila, sottopagate, bambini anche al di sotto dei 7 anni… questa è la realtà delle piantagioni di cacao.
Scegliamo prodotti a km 0 tanto per una questione di impatto ambientale quanto per favorire piccole aziende locali la cui realtà e le cui politiche gestionali sono direttamente verificabili da noi stessi, in prima persona, e aiutiamo a distanza tutte quelle persone impiegate a chilometri e chilometri da noi in piantagioni, fabbriche, stabilimenti, etc. compilando gli appelli che vengono promossi e parlando delle loro vicende, dando voce alle loro storie e non finanziando proprio quelle aziende che le sfruttano in tutta facilità, sicure del fatto che tutto ciò avviene lontano dai nostri occhi da consumatori. 

Una panoramica doverosa per denunciare le violenze e gli sfruttamenti ai quali ancora oggi le donne sono soggette: perché l’8 marzo non dovrebbe essere un giorno di festa, ma di maggiore presa di coscienza, attraverso l’esempio di ciò che avvenuto ieri, per costruire, con le azioni dell’oggi, un domani migliore.
Non dovrebbe essere, l’8 marzo, un giorno di festa per le donne, ma dovrebbe esserlo ogni giorno, per le donne, per tutte le donne, per gli uomini, per tutti gli uomini, per ogni essere vivente. Ogni prigionia deve essere spezzata, ogni violenza cancellata, ogni dominio sgominato. 

Concludiamo non tanto con uno formale, ma pressoché privo di valore augurio alle donne né con uno a donne e uomini insieme, ma con un augurio per una lotta utile e dai frutti numerosi e maturi.

Auguri!