Belo Monte e altre sessanta minacce

A minacciare l’integrità e la libertà della foresta amazzonica, dei popoli, delle specie animali e vegetali ospitate in queste aree, non ci sono solo monocolture industriali, allevamenti animali, miniere ed estrazioni di idrocarburi: uno dei polmoni della Terra viene soffocato anche dalle infrastrutture, rappresentate dalle dighe idroelettriche.
L’emblema dello sfruttamento territoriale causato dalle infrastrutture è rappresentato dalla diga di Belo Monte, un complesso idroelettrico costruito sul fiume Xingu, nello stato brasiliano del Pará.
Quello di Belo Monte si pone come il 3° più grande progetto di una centrale idroelettrica al mondo, un complesso che prevede la realizzazione di almeno 4 dighe, 27 bacini, 3 canali di rifornimento, 7 canali.
L’azienda a voler realizzare questo progetto, con il pieno sostegno del governo brasiliano che ha inserito questa “grande opera” nel P.A.C. (Programma di Accelerazione della Crescita), è la Norte Energia, che in questi ultimi giorni è stata attaccata da Ibama, l’agenzia di protezione ambientale del paese.belo monte

Come è caratteristica della maggior parte delle “grandi opere”, anche il progetto idroelettrico di Belo Monte è contraddistinto da promesse mai mantenute, imposizioni dall’alto e interessi economici che scavalcano e calpestano ogni diritto di libertà, della Terra e di chi la abita.

Le accuse mosse da Ibama a Norte Energia sono quelle di non aver provveduto alla realizzazione di quelle opere compensative molto sdoganate anche dalle nostre parti, vedi tutto quello che riguarda il TAV, che, secondo i consorzi detentori dei progetti, dovrebbero far meglio digerire all’opinione pubblica la devastazione ambientale che accompagna i lavori.
Opere compensative o no, la verità è che quello di Belo Monte si pone come l’ennesimo progetto atto a colonizzare, privatizzare e sfruttare le risorse naturali della Terra, senza curarsi dei danni a livello ambientale e del disagio sociale provocato alle popolazioni che abitano le zone colpite.
Fino a questo momento infatti sono 20 mila le persone a esser state sfollate, costrette ad abbandonare la loro casa e le terre abitate per essere ricollocate altrove, e che lamentano un inadeguato risarcimento economico per quello che hanno subito.
Sono invece 24 le tribù indigene colpite direttamente da questo progetto, spesso neanche contattate in merito, ma direttamente obbligate ad abbandonare le terre abitate da sempre, gestite con rispetto e preservate nonostante l’avanzata del cemento e del falso progresso.
Sappiamo che spesso le popolazioni indigene, di norma rimaste isolate dal resto del mondo e incontattate dall’esterno, improvvisamente vengono direttamente perseguitate, minacciate e molti dei propri membri uccisi senza che di loro si sappia più nulla.
Nonostante vi siano tutti questi precedenti, e tali progetti rappresentino una ferita per la Terra e una minaccia alla libertà dei popoli, il governo brasiliano pianifica di costruire altre 60 dighe nel bacino amazzone entro i prossimi vent’anni.

Per approfondire quanto riportato in questo articolo vi consigliamo la visione e ulteriore condivisione del documentario Belo Monte: annuncio di una guerra, incentrato principalmente sulla resistenza delle tribù indigene.

Fonte: The Guardian