Benessere animale: nessuna sfumatura, un solo concetto

La Coop sei tu! Un consumatore ha preso alla lettera lo slogan della catena di supermercati e la vigilia di Natale ha girato un video presso la Coop di Sesto Fiorentino, che spiega a dovere cosa intende questa azienda per “benessere animale”.
Il video in questione mostra astici ancora vivi muoversi all’interno delle vaschette, avvolti dal cellophane.

L’articolo del codice penale che regolamenta la crudeltà sugli animali recita così:

Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro.

Ma il punto non è questo e neanche il fatto che gli astici invece di trovarsi nelle vaschette avrebbero dovuto essere dentro a degli acquari, dove tra l’altro vengono ammassati gli uni sugli altri con le chele legate da lacci di plastica. Ci stupisce ogni volta l’approccio di associazioni come la Lav, che affrontano queste problematiche partendo dal presupposto che l’allevamento, la prigionia e la vendita degli animali siano una situazione di normalità e che ci si debba impegnare solo perché le condizioni di questi stati siano più “umane”. Questo approccio non è per niente in linea con l’antispecismo, ma anzi è propriamente antropocentrico in quanto le condizioni di allevamento, prigionia e vendita degli animali non dovrebbero essere concepite normali neanche dal punto di vista dell’essere umano, tanto meno potranno mai essere accettate come tali da quello degli stessi animali sfruttati.
Quello che va denunciato è il concetto distorto di “benessere animale” – sempre più diffuso da realtà come Coop e Slow Food, ad esempio – che non si allontana minimamente dal destino al quale si costringono miliardi di animali ogni anno, ovvero la morte.
Il problema non è tanto che l’astice fosse nella vaschetta invece che nell’acquario; che lo zampone venduto provenga da allevamenti dove fanno pascolare i maiali all’aperto invece che in un capannone intensivo. Il punto sul quale bisogna porre attenzione è che se l’animale, a qualsiasi specie esso appartenga, va incontro sempre allo stesso triste finale, allora non si può parlare di “benessere animale”. Che si tratti di un allevamento intensivo o tradizionale, con quell’immagine rurale che solo gli spot televisivi oramai sanno ricreare, sempre di schiavitù si tratta.

Il termine “benessere animale” è stato introdotto e sbandierato con vanto da supermercati e allevatori al solo scopo di offrire maggiori garanzie al consumatore, che pensa così di non arrecare danno a nessuno, in quanto viene rafforzata l’idea che l’importante è far vivere bene gli animali perché questi sono predisposti ad essere sacrificati per la gola dell’essere umano. Prova di questo è il messaggio che ogni tot. minuti viene mandato attraverso gli altoparlanti di diversi supermercati Coop, in cui una voce spiega che i prodotti a marchio Coop sono selezionati, senza impiego di OGM e non causano sofferenza. Un messaggio essenzialmente errato, proprio per quel che abbiamo appena detto, e che viene reiterato continuamente nella testa del consumatore che si aggira tra i banchi.

In questo contesto probabilmente è il caso di soffermarsi in particolare sul destino delle specie ittiche: contro la comune convinzione, queste non popolano mari, laghi e fiumi per essere pescate e utilizzate a nostra discrezione, ma per essere parte di un ecosistema che oggi si sta impoverendo anche a causa del nostro ipersfruttamento di queste specie.olocausto silenzioso

La morte delle specie ittiche è tra le più dolorose: sopraggiunge per soffocamento dopo interminabili attimi di agonia e spasmi. Per non parlare della morte di aragoste, astici e gamberoni che, ancora vivi, vengono gettati in acqua bollente. Soffrono, si dimenano, urlano.
Il pesce è una creatura silenziosa, di cui non arriviamo a sentire il lamento, ma questo non significa che non avvenga. Il suo silenzio non giustifica la nostra indifferenza.

Di “benessere animale” si potrà parlare seriamente solo quando ogni specie verrà lasciata libera di vivere nel proprio habitat, che non è di certo il banco del pescivendolo – di supermercato e non – e non ci interessa neanche che la direzione del supermercato in questione indaghi o no sulla vicenda, perché è il concetto di fondo ad essere sbagliato: a nessun animale dovrebbe spettare il destino di diventare mero oggetto di consumo. Gli animali non sono macchine da produzione al servizio dell’uomo, ma esseri senzienti quanto l’uomo e ad entrambi va data la stessa possibilità di vivere in libertà sulla Terra.

Torneremo ancora sull’argomento dell’animal welfare, anche in riferimento all’Expo 2015, in quanto vetrina di incoerenza e fumo negli occhi di chi ancora pensa che il futuro si basi su sottomissione e sfruttamento di altri esseri viventi, umani e non umani.