Gaza: non solo la guerra uccide

Il conflitto tra Israele e Palestina non è l’unica ragione per cui migliaia di persone sono morte in questi decenni a Gaza.
La guerra ha aggravato la già precaria condizione delle acque della città: il 95% delle risorse idriche di Gaza sono inquinate e rappresentano una delle principali cause di decesso tra bambini al di sotto dei 5 anni e per le donne in stato di gravidanza.
Gaza è una delle aree a più alta densità popolare, circa 4353 persone per chilometro quadrato; la maggior parte delle famiglie residenti nella striscia non ha la possibilità di attingere acqua potabile. Questo impedisce loro di svolgere anche i compiti più semplici, come cucinare o fare il bucato.

striscia di Gaza

Una popolazione così numerosa, costretta a vivere in un lembo di terra molto ristretto, produce rapidamente un alto numero di rifiuti che contribuiscono all’inquinamento delle acque.
A Gaza esistono tre depuratori che ricevono ogni giorno tra i 40.000 e i 50.000 metri cubi di acque impure, quantità troppo elevate per riuscire ad essere depurate interamente. Così, 80.000 m3 di acque solo parzialmente depurate vengono quotidianamente riversate in mare.
Le condizioni igieniche in cui si trova la città sono drammatiche. L’acqua rappresenta il bene primario per eccellenza, un bene comune a cui tutti dovrebbero avere accesso. L’acqua è vita e ognuno ha il diritto di vivere.
Ma quella di Gaza è contaminata dai fertilizzanti, dalle feci umane e animali, dando il via al proliferarsi di malattie come colera e tifo e anche una semplice diarrea può essere fatale per un bambino. Il diritto alla vita di queste persone è messo a serio rischio e spesso non viene fatto nulla per tutelarlo.

Israele: impianto depurativo delle acque

Al di fuori della striscia esiste un depuratore di ultima generazione che da solo permetterebbe di rifornire di acqua potabile l’intera popolazione, ma, essendo di proprietà del popolo israeliano, solo una piccola quantità di essa giunge a Gaza.
Le condizioni delle acque si sono aggravate anche a causa della restrizione, al momento dell’assedio da parte di Israele, dell’importazione nella striscia di materiali da costruzione che avrebbero permesso alla popolazione di riparare o costruire gli impianti necessari per la depurazione.
Al momento, migliaia di persone, bambini, donne, uomini, sono costrette a vivere in condizioni di salute precarie; scampare ai bombardamenti non rappresenta per loro una certezza di sopravvivenza se il problema idrico non verrà risolto.
Ma intanto gli scontri proseguono, gli israeliani attaccano avvisando la popolazione nemica qualche ora prima del bombardamento, come se nella striscia di Gaza si potessero trovare luoghi in cui ripararsi.
Dalla Palestina rispondono a questi attacchi e questa triste routine prosegue da anni mentre migliaia di bambini, oltre a molte altre persone, muoiono per le esplosioni o a causa delle acque avvelenate.
In un mondo perfetto, la vita delle persone, così come quella di ogni altro essere vivente, dovrebbe rappresentare un valore assoluto, imprescindibile.
Ma diritto alla vita non significa solo non essere attaccati o minacciati dalle azioni di qualcun altro: diritto alla vita significa anche avere accesso a tutte quelle risorse che garantiscono la vita stessa, l’acqua prima tra tutte, perché l’acqua è vita.

Ci auguriamo che questi valori un giorno possano vincere su tutto il resto e spingere popoli che da anni sono in guerra a raggiungere la pace e una convivenza sostenibile.

Music for Peace alla consegna dei pacchi famiglia a Gaza City e la felicità della popolazione sul volto di un bambino. (foto di Music for Peace)

Intanto esprimiamo la nostra profonda ammirazione per tutte quelle realtà, come Music for Peace, che spesso si recano a Gaza per rifornire la popolazione di generi di prima necessità, acqua potabile, medicinali e cure, nell’attesa che la situazione migliori, così come a Friends of the Earth Middle East, che, attraverso le acque del fiume Giordano, cerca di ristabilire il contatto pacifico, la conoscenza reciproca e lo scambio culturale tra popolazioni che i governi di tutto il mondo vogliono in conflitto.