Il costo reale

Il costo dei prodotti commercializzati non dovrebbe essere espresso in denaro, ma specificando le risorse naturali, le vite animali e umane sfruttate e sacrificate per la loro realizzazione.
Attribuire un valore in denaro a un qualsiasi prodotto sposta l’attenzione dal suo costo reale in termini di sfruttamento ambientale, animale e umano e fa parte di quel processo di de-responsabilizzazione rivolto al consumatore che rende più facile l’acquisto di ciò che prima era una vita, o che per essere commercializzato ha alimentato fenomeni come deforestazione, inquinamento, sfruttamento dei lavoratori etc.
Uno studio recente ha portato alla luce il costo reale di uno strumento tecnologico molto diffuso, lo smartphone, acquistato e gettato con troppa frequenza e leggerezza in quel vortice di consumismo sfrenato che colpisce ogni settore e che rappresenta terreno fertile per le multinazionali.
In termini di sfruttamento ambientale, la produzione di un solo smartphone prevede lo spreco di 13 tonnellate di acqua e 18 metri quadrati di terreno, un sacrificio enorme per un Pianeta dove le risorse idriche scarseggiano e le foreste scompaiono pezzo per pezzo a una velocità sempre più incredibile.spreco_acqua
A questo si aggiunge un presunto quanto probabile sfruttamento dei lavoratori, considerando che gli stabilimenti delle varie multinazionali sono sempre collocati in paesi, spesso orientali, dove la forza lavoro viene sottopagata e impiegata per ritmi lavorativi estenuanti.
Ma esiste purtroppo una violazione dei diritti umani conosciuta e comprovata per la produzione di smartphone, pc e telefoni cellulari in generale che si svolge a monte, provocata dall’estrazione del coltan, minerale impiegato nella fabbricazione degli oggetti tecnologici appena citati.
Il coltan viene estratto dalle miniere in Congo, un paese che ormai da molti anni è stretto nella morsa di una guerra civile alimentata dalle stesse corporazioni che, per ottenere il pieno controllo delle miniere, paga le milizie locali in armi.
Nelle miniere del Congo vengono impiegat* donne, bambini, anche di 5 anni, per uno sfruttamento territoriale e umano che non risparmia nessuno. Ecco cosa dovrebbe essere scritto sulle confezioni di smartphone e non solo.
Le soluzioni per non essere complici dei crimini appena descritti esistono e sono di semplice realizzazione: far durare le cose e non correre ai negozi per acquistare gli ultimi modelli appena il mercato lo comanda; utilizzare il settore dell’usato che sta emergendo anche per quanto riguarda la tecnologia. L’articolo che state leggendo, ad esempio, è stato scritto da un pc usato.

Lo sfruttamento territoriale e il sacrificio delle risorse idriche sono prerogative di quasi ogni settore produttivo:

  • La realizzazione di una maglietta costa 4 tonnellate d’acqua e 4 metri quadrati di terreno;
  • Ogni paio di stivali in pelle, oltre a schiavitù, sfruttamento e sacrificio animali, costa 14 tonnellate d’acqua e 50 metri quadrati di terreno.

Ma nulla batte lo sfruttamento di risorse idriche impiegate dall’industria della carne e dei derivati animali per la produzione di un solo chilo di carne: 15.500 litri.
Industria della carne e dei derivati animali è tra le prime cause di deforestazione nel mondo: l’80% della foresta amazzonica è stata rimpiazzata dai casermoni degli allevamenti e da quelle moncolture di soia e mais geneticamente modificati funzionali all’ingrasso degli animali in essi rinchiusi.
Dati alla mano, c’è quasi da stupirsi che i vari settori industriali riescano ancora a trovare risorse idriche da poter sfruttare a loro piacimento, mentre la Terra viene prosciugata e numerosi popoli privati dell’elemento vitale per eccellenza.
Non sono più le corse all’oro o al petrolio a far gola alle multinazionali ormai, e il rischio che possano scoppiare guerre per il controllo delle risorse idriche non è solo un’espressione di preoccupazione.

Fonte: Ansa