La Resistenza del Borneo

foresta del Borneo

Le foreste pluviali del Borneo rappresentano, insieme all’Amazzonia, i polmoni attraverso i quali il Pianeta respira, gestisce i cambiamenti climatici e le precipitazioni atmosferiche, ammortizza le emissioni di CO2 mantenendo sostenibile l’aria che si respira. Queste zone ospitano il 6% della biodiversità mondiale, vale a dire molte specie vegetali e animali che contribuiscono alla varietà della vita sul Pianeta, senza le quali esso stesso non potrebbe sopravvivere. Le foreste di cui vi stiamo parlando ormai da anni si trovano sotto stretto assedio da chi ha interesse a sfruttare, in nome del dio denaro, ogni risorsa presente in questi angoli del Pianeta, un tempo incontaminati. Le minacce principali per queste zone, Indonesia, Malesia e Brunei, sono rappresentate dalle piantagioni di palme da olio, monocolture che sfruttano foreste rigogliose per la produzione di una sola specie di pianta.

piantagione di palme da olio

Un processo che rende sterili i terreni, incapaci in seguito di ospitare altre coltivazioni, che da aree verdi si ritrovano ad essere aridi deserti: un milione di ettari di foreste sono state letteralmente rase al suolo. Il 90% della produzione di olio di palma proviene dall’Indonesia: i due terzi del territorio sono concessi alle aziende interessate (industria alimentare, della cosmesi e dei carburanti) che convertono queste zone in aree industriali (con i ritmi attuali saranno ridotte al 4% entro il 2020). Le emissioni di CO2 dovute

deforestazione in Sarawak

alla deforestazione fanno dell’Indonesia uno dei Paesi più inquinati al mondo. Questo processo è responsabile per il 67% delle emissioni di gas serra. Ancora peggiore la situazione del Sarawak, regione del Borneo, dove il 90% delle foreste è stato distrutto dai tagliaboschi a caccia di legname di prima qualità. Nel Kalimantan, invece, vaste aree di giungla sono state eliminate per far posto agli alberi della gomma e alle piantagioni di olio di palma.

Nel 2007 Indonesia, Malesia e Brunei danno vita ad una iniziativa, Il Cuore del Borneo(HOB), che dovrebbe avere lo scopo di preservare 22 mila ettari di foresta suddivisi nei 3 stati. Il fine di questo accordo prevede il raggiungimento di una gestione sostenibile delle risorse del Borneo, che a causa delle azioni sopra citate si trova sempre più in ginocchio, con conseguenze che investono gli equilibri globali del Pianeta. Il continuo sorgere di aree industriali, colture e allevamenti intensivi, dove prima vi era la presenza di vita, è alla base di ogni problema climatico e mette a rischio di estinzione sempre più specie viventi.

bimba Penan, Malesia (foto Survival)

Le tribù indigene che abitano da sempre questi luoghi rappresentano l’ultimo baluardo tra le devastazioni volute da questo falso progresso e il mantenimento di terre la cui sopravvivenza determina quella del Pianeta. I Penan e i Dayak, popolazioni aborigene del luogo, già in passato si sono opposte all’avanzamento industriale e a chi vuole impadronirsi delle terre che da millenni essi preservano, grazie ad uno stile di vita che rispetta e sostiene l’Ambiente. Dopo anni di lotte condotte nelle foreste, hanno deciso di percorrere vie legali contro chi vorrebbe

donna Dayak

distruggere ciò che loro invece proteggono. I Dayak hanno già vinto una causa contro l’azienda  Borneo Pulp & Paper e il governo dello Stato di Sarawak per la violazione dei diritti fondamentali dei nativi. I Penan invece si sono schierati in prima fila nel 2009 per protestare contro le piantagioni di palme da olio e di acacia, entrambe monocolture che mettono a rischio la sopravvivenza della biodiversità delle loro foreste. Mentre nel 2010, sempre la tribù dei Penan, hanno a lungo manifestato contro la diga idroelettrica Murum, rea di aver causato l’allagamento dei villaggi circostanti. La resistenza condotta da questi popoli, oltre che essere di esempio, mantiene ancora viva una fiammella di speranza perché questi luoghi possano sopravvivere, dando asilo a specie viventi che si pensavano già scomparse, come il Presbite di Hose, uno dei 25 primati maggiormente a rischio di estinzione, la cui scoperta della sua presenza in queste zone si deve alle ricerche condotte dall’HOB.

Ancora una volta le scelte di ognuno di noi possono fare la differenza: non finanziare qualcosa come può essere il mercato dell’olio di palma ne frena la produzione, un modo per essere solidali alla lotta condotta da tribù come i Penan e i Dayak e a molte altre nel mondo, anche a distanza. Una lotta per la liberazione della Terra, sempre più soffocata dalle azioni di aziende che inconsapevolmente ogni giorno finanziamo.

In tema di lotta alla produzione di olio di palma, segnaliamo una petizione cartacea di cui Earth Riot si fa promotore. La petizione chiede al Parlamento Europeo di cessare l’importazione e vietare un eventuale produzione di olio di palma entro i confini dell’UE.
Il modulo da scaricare, stampare e compilare è disponibile direttamente qui.
Naturalmente, consigliamo a chiunque voglia aiutarci a raccogliere più firme possibile di usare esclusivamente carta riciclata.
Per spedirci i moduli completati, seguite le istruzioni riportate sui moduli stessi! Grazie!