L’alimentazione del futuro, lo sfruttamento di sempre

“Fresco, sano e sostenibile”. Può sembrare uno degli slogan di Expo 2015 o di Slow Food. In verità non siamo per nulla distanti da una simile affermazione, ma questa dichiarazione è il motto di quattro ragazzi statunitensi che hanno aperto la prima fattoria di insetti per la produzione di farine iperproteiche. Qualcuno sosterrebbe che si tratta delle nuove frontiere dell’alimentazione, ma non è altro che la nuova frontiera dello specismo, una corsa allo sfruttamento di ogni risorsa possibile, di tutto ciò che si può tramutare in merce e forma di guadagno.

Spesso abbiamo parlato dei pesci e delle creature ittiche in generale come una delle specie maggiormente trascurate, sfruttate e uccise senza alcun sintomo di empatia da parte dell’uomo. Ma gli insetti probabilmente si trovano ulteriormente un gradino più in basso in questa tristissima classifica di chi è vittima di un sistema votato all’esaurimento di ogni singola risorsa.

Le prime avvisaglie sul fatto che presto l’industria sarebbe giunta anche a sfruttare gli insetti per scopi alimentari e di profitto le avevamo avute circa tre anni fa, quando l’Unione Europea stanziò 3 milioni di euro di bonus per tutti quei paesi membri che avrebbero incoraggiato l’impiego di queste specie in cucina.

Il progetto dei quattro ragazzi statunitensi, a chi lo osserva da un’ottica imprenditoriale, potrà anche sembrare ammirevole: per loro stessa ammissione, allevare insetti richiede un’occupazione di terreno inferiore e un ridotto spreco di risorse idriche rispetto agli allevamenti di bestiame. L’obiettivo però non è ridurre il danno ambientale passando da una specie sfruttata a un’altra; restiamo imperterriti ancorati alla “mentalità lager”, al cospetto di una forma di schiavitù che viene giustificata dalla necessità di produrre cibo per una popolazione che è in crescita, ma della quale si ha come sempre lo scopo e l’utilità di nutrirne la solita, infinitesimale e sovralimentata fetta.

A noi non piace riportare cifre perché crediamo sminuiscano il valore della singola vita, ma riteniamo giusto rendervi noto che di singole vite, in questa fattoria per insetti, ne verranno sfruttate 350.000: 175 barili, ognuno dei quali rinchiude 2000 grilli, grilli che in natura sono abituati a saltare nei prati.

Quella che i ragazzi californiani chiamano indebitamente “fattoria” alla fine non è altro che un magazzino che occupa 650 metri quadrati, terreno ugualmente strappato a impieghi realmente sostenibili e che potrebbero offrire una risposta efficace alla piaga della fame nel mondo. L’industria della carne e dei derivati animali, che vede l’impiego di massicce risorse primarie per la sopravvivenza (15 chili di cereali e 15.000 litri d’acqua per la produzione di un solo chilo di carne), strappa terreni coltivabili alle popolazioni già in crisi per le monocolture intensive, funzionali all’ingrasso degli animali negli allevamenti. Priva inoltre i popoli tribali della loro unica forma di sostentamento, per poi vendere il prodotto finale, frutto di schiavitù e sfruttamento, a quella parte del mondo che non soffre la fame, ma che possiede le risorse economiche per ingrassare le tasche dell’industria. Infine, ultimo ma non da meno, sfrutta, tortura e decide di vita e morte di miliardi di animali ogni anno, vite come noi, che soffrono e provano emozioni e sentimenti.

La stessa cosa vale per il progetto dei quattro ragazzi californiani, che da una parte sostengono di aver avuto quest’idea per sopperire alla crescente richiesta di cibo, ma dall’altra vendono la farina ottenuta dall’uccisione dei grilli a privati, ristoranti e industrie alimentari. Il solito circuito e la solita proficua ipocrisia, insomma.

Rischia di non passare molto tempo prima di ritrovare questa farina iperproteica, dall’alto contenuto di sfruttamento in qualche prodotto industriale, magari anche etichettato quale vegan, impiegata come addensante o chissà in quali altri modi,  nascosta dietro a diciture enigmatiche e fuorvianti. Una storia già vista. Ma, d’altra parte, il trend dell’industria alimentare è questo: si ricerca l’alimentazione del futuro restando radicati agli sfruttamenti del passato. Questo è il messaggio che sta comunicando Expo 2015 in questi giorni, dove i prodotti a base di insetti vengono messi in bella mostra come trofei, come se questa nuova frontiera dello sfruttamento rappresentasse una vittoria.expo insetti Ma questa cantata vittoria appartiene sempre agli stessi, quei pochi potenti a capo dei paesi e delle multinazionali che tengono in scacco l’alimentazione mondiale, mentre le foreste scompaiono, sempre più specie vengono ridotte in schiavitù e uccise e le persone che soffrono la fame non fanno che aumentare.

Non serve un luminare per capire che questo sistema a senso unico è al collasso, che per fermarlo serve una sempre più forte presa di coscienza che porti a rifiutare il consumo di tutto ciò che è espressione di dominio ambientale, animale e sociale. I supermercati vanno abbandonati, i prodotti industriali dimenticati, e i piccoli produttori locali con i quali si possa dialogare per ottenere direttamente informazioni sull’origine dei prodotti venduti, come sono stati coltivati e in quale area valorizzati. Non è un’impresa impossibile. Sempre più persone stanno abbracciando uno stile di vita nonviolento a 360° che non deve limitarsi all’essere vegan continuando però a nutrire il consumismo, attendendo che l’industria, quella stessa industria che è alla base dei crimini da combattere, vomiti sul mercato qualche nuovo prodotto per abbindolare e tersi strette le nuove fasce di consumatori.

Fonti: Ansa Repubblica