Le sostanze tossiche che indossiamo.

Earth Riot già qualche settimana fa si era occupato di segnalare come la tecnica di sabbiatura, utilizzata da molte grandi firme dell’industria della moda per dare ai jeans quell’aspetto “vissuto”, provochi danni molto seri alla salute delle persone (che siano gli operai impiegati negli stabilimenti di produzione o i consumatori che indossano il capo finito).
L’allarme che viene lanciato adesso, se possibile, è ancora più serio e preoccupante perché il rischio di rimanere intossicati per ciò che si indossa non sarebbe più ristretto ai soli capi che hanno subito la tecnica di sabbiatura, ma coinvolgerebbe molti più prodotti della moda.
Greenpeace, grazie alla campagna Detox 2012, ha infatti evidenziato come molti marchi della moda commercializzino capi di abbigliamento contenenti sostanze tossiche nocive cancerogene in grado di causare alterazioni ormonali, disturbi nello sviluppo sessuale, danni ai reni, al fegato e ai polmoni.

La lista dei marchi incriminati è piuttosto lunga, ve la forniamo qua di seguito: ZARA, Benetton, Jack & Jones, Only, Vero Moda, Blažek, C & A, Diesel, Esprit, Gap, Armani, H & M, Levi, Victoria ‘s Secret, Mango, Marks & Spencer, Metersbonwe, Calvin Klein, Tommy Hilfiger e Vancl.

attivisti per la campagna Detox 2012 contro Zara

Gli stabilimenti dove vengono prodotti i vari capi d’abbigliamento commercializzati da queste firme dell’alta moda si trovano soprattutto in Cina, ma questo non deve più suonare come una novità: i grandi marchi spesso decidono di situare le proprie industrie in paesi dove la manodopera costa poco e lo sfruttamento dei lavoratori è all’ordine del giorno, perché è più semplice farlo per le multinazionali appoggiate dai governi stessi.
Come abbiamo già spiegato molte volte parlando dei lavoratori di McDonald’s, piuttosto che di quelli di Coca Cola, Nestlé o gli stessi impiegati nella produzione dei jeans, si tratta di persone sottopagate, che devono sopportare turni di lavoro estenuanti, spesso minorenni con documento falsificato e a rischio di contaminazione da sostanze chimiche.
I primi a mettere in gioco la propria salute (e la propria vita) sono proprio loro, chi lavora in questi stabilimenti, a continuo contatto con sostanze tossiche, perlopiù privi delle dovute protezioni e delle informazioni necessarie per conoscere i rischi che corrono e per proteggersi, tutto per produrre capi di abbigliamento contenenti prodotti chimici nocivi che resistono anche ai lavaggi e che di conseguenza creeranno danni anche a chi poi li indosserà. Quando parliamo di danni per i consumatori, ovviamente ci riferiamo ad un danno non istantaneo, ma ad un processo di lunga durata: le sostanze nocive presenti in questi prodotti (e non solo di abbigliamento, ma anche alimentari, cosmetici, per l’igiene personale e della casa, etc.) stanno a contatto con la nostra pelle, con il nostro corpo costantemente, 24 ore su 24, agendo sul nostro organismo e provocando, a lungo andare, danni che possono diventare irreparabili.

inquinamento civile delle acque

L’Ambiente, come al solito, è costretto a pagare il suo prezzo dovuto a un’industria tutt’altro che sostenibile; le sostanze chimiche utilizzate sono altamente inquinanti e vengono disperse nell’ambiente sia durante la produzione che ogni volta che il capo in questione viene lavato, provocando un altissimo avvelenamento dell’acqua, bene prezioso e sempre più a rischio.
Un altro aspetto non trascurabile che contribuisce all’aumento dell’inquinamento risiede in un consumismo sempre più frenetico: la necessità di restare sempre al passo con una moda che cambia in continuazione porta le persone ad acquistare nuovi capi, dimenticandosi di quelli già posseduti che magari finiscono in discarica.

attivisti per la campagna Detox 2012 contro H&M

Nel 2010 la catena svedese di negozi di abbigliamento H&M si è trovata nell’occhio del ciclone a causa della pratica utilizzata per lo smaltimento dei capi invenduti: invece che donarli o riqualificarli in qualche modo, vengono tagliati e gettati. Una politica di questo tipo è un insulto non solo al Pianeta in generale, perché un comportamento del genere provoca uno spreco di risorse inaudito e inaccettabile, in un’era, questa, in cui le risorse che la natura ci ha sempre offerto scarseggiano sempre più, sconfitte dai ritmi insostenibili del mondo occidentale, ma è un insulto anche a tutte quelle persone che riceverebbero volentieri quei capi, persone che non hanno nemmeno modo di procurarsi del cibo, figurarsi qualcosa per coprirsi.

Per cominciare, per manifestare il proprio sdegno e provare a comunicare con i diretti fautori di tutto questo, potete scrivere una mail di protesta a:

  • Zara, per chiedere all’azienda di cessare l’utilizzo di prodotti chimici nocivi alla salute dell’ambiente e delle persone e di introdurre sistemi che tutelino i lavoratori impiegati nei vari stabilimenti di produzione (eventualmente, potete anche chiamare il numero 800924600, dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 19.30 e il sabato dalle 10 alle 16);
  • H&M ([email protected]), per chiedere di smettere di sprecare in questo modo prodotti finiti, per cui sono state impiegate preziose risorse e tanta manodopera (molto probabilmente sottopagata – controllare il paese di produzione sull’etichetta per farsi un’idea) e proporre di cambiare politica riguardo questo, decidendo di donare i capi invenduti alle associazioni e alle Onlus, presenti su tutto il territorio italiano e quindi facili da rintracciare, che si occupano proprio di destinarli a chi ne ha più bisogno.

Ovviamente noi ci sentiamo anche di consigliare di non comprare prodotti da questi marchi, almeno fino a quando tutto questo non cambierà.
Il boicottaggio è l’arma che abbiamo in mano noi, persone comuni, in quanto consumatori o considerati tali da queste aziende; non comprare questi prodotti significa mandare loro un messaggio e soprattutto non finanziare tutto questo, non esserne complici