L’indifferenza che promuove la violenza

Il 16 dicembre scorso, in India, una ragazza di 23 anni e un suo amico vengono aggrediti a bordo di un autobus poco dopo le 21. Sei uomini, tra i quali anche l’autista del mezzo, riducono in fin di vita i ragazzi, gettati poi sull’asfalto sanguinanti e mezzi nudi. La ragazza dopo giorni di agonia perde la vita a causa delle lesioni riportate.
Questo fatto ha scatenato in tutto il paese, ma anche all’estero, reazioni di orrore e di protesta, ma fa emergere anche ulteriori e inquietanti retroscena e quesiti che è doveroso porsi.
Nei giorni successivi a quanto accaduto, soprattutto in prossimità della notte di capodanno, sono stati registrati altri casi di violenza, su donne adescate durante le feste e sedate, e nei primi giorni di gennaio anche su bambine tra i 5 e 10 anni.
Ieri la notizia di una nuova aggressione di branco, vittima una ragazza di 29 anni che viaggiava su una corriera, proprio come accaduto a metà dicembre. Il sequestro è avvenuto da parte dell’autista che poi ha abusato di lei con la complicità di altri 5 uomini; la ragazza al momento è viva, ma non per questo l’orrore che ha vissuto deve lasciarci meno sgomenti.
Tutti questi fatti portano alla luce quella che in India è una realtà di ogni giorno: quanto accaduto il 16 dicembre non è purtroppo un caso isolato frutto della pazzia di alcuni violenti ma, come possiamo capire da ciò che è accaduto nei giorni seguenti, una pratica che in questo paese avviene spesso, e molte volte nell’indifferenza più totale.
In ogni paese vi sono casi di violenza sulle donne, per strada o tra le mura domestiche, e ogni vittima merita di ricevere sostegno e, come nel caso della ragazza di 23 anni, di non essere dimenticata. Non vogliamo demonizzare l’India, però ci pare doveroso riportare la realtà che le donne sono costrette a subire in questo paese.
Quello che è stato portato alla luce dopo gli avvenimenti di quest’ultimo mese, e grazie al racconto del ragazzo aggredito lo scorso 16 dicembre, pone ulteriormente in cattiva luce la polizia locale, nota per la sua corruzione, e accusata in questo caso anche di inefficienza. Polizia locale che, dopo alcuni scontri avvenuti tra il 16 e il 23 dicembre, aveva addirittura ritenuto che la soluzione migliore non fosse tanto quella di lavorare seriamente per mantenere la calma e garantire a tutti la sicurezza contemporaneamente ai diritti dei cittadini, ma di negare il permesso a manifestazioni anti-stupro nella capitale Nuova Delhi. Ovviamente i manifestanti non si sono fatti fermare da tali banali trovate e si sono ugualmente riversati in piazza, questa volta con una simbolica bandana nera sulla bocca, per opporsi a questo tentativo di censura.
Ma ad allarmare è anche l’indifferenza espressa dai cittadini: il ragazzo ha raccontato come lui e la sua amica siano stati lasciati a terra in gravissime condizioni per quasi 40 minuti, prima che qualcuno li soccorresse o chiamasse aiuto.
Le violenze sulle donne in India avvengono da molto tempo e probabilmente molte passano inosservate o si ritiene non facciano sufficientemente notizia, questo a causa della concezione di donna che sia ha nel paese.

polizia indiana attacca manifestanti

I provvedimenti presi dai vari distretti nei giorni seguenti alle aggressioni hanno suscitato molta indignazione: le soluzioni applicate per arginare l’ondata di violenze sembrano voler affermare che sono le donne ad istigare attraverso il loro comportamento.
Infatti è stato loro imposto di indossare un lungo cappotto per coprirsi il più possibile, consigliato di non prendere corriere da sole e in orari serali e di non girare per vie poco trafficate e buie, quasi come se il ritrovarsi in una di queste situazioni giustificasse l’aggressione e l’aggressore.
Questi non sono provvedimenti che tutelano le donne, ma sembrano più qualcosa detto tanto per dire qualcosa, tanto per avere la coscienza a posto, della serie: noi vi abbiamo detto come fare, se vi capita qualcosa di brutto, ve la siete andata a cercare.
Un puro insulto per ogni vittima di violenza e per chi a causa di queste ha perso la vita o non è stata in grado di costruirsene una: vivere esperienze di questo tipo a volte significa portare un’etichetta agli occhi degli altri che impedisce di avere una vita sociale.
Per fortuna, gruppi di cittadini hanno avviato volantinaggi sugli autobus e distribuzione di materiale informativo affinché le donne sappiano come affrontare le possibili aggressioni, e hanno promosso corsi di difesa personale e distribuzione di spray orticante. Non è un atto di violenza  proteggersi e nel caso rispondere alle violenze subite.
Purtroppo è anche vero che tutto questo clima di tensione e l’enorme sconforto portato nei cuori degli indiani a seguito di questa mancata solidarietà da parte del proprio governo, da parte di chi dovrebbe tutelarli, hanno avuto modo, in diverse occasioni, di sfociare in qualcosa di negativo e violento: non sono mancati slogan quali hang the rapist (appendi lo stupratore), riportato in molti cartelli durante le proteste, o il tentativo di linciaggio pubblico nei confronti di un uomo che aveva stuprato quattro bambine.
Comprendiamo lo sconforto, comprendiamo l’amarezza e anche il senso di impotenza che si prova quando ci si sente soli e abbandonati in particolare dalle istituzioni che dovrebbero tutelare e difendere i diritti della persona ancor prima che quelli del cittadino… ma, come abbiamo sempre sostenuto e come sosterremo sempre, la violenza non è né mai sarà la risposta giusta, la soluzione. Attaccare il nemico con le sue stesse armi non porterà altro che mera e fredda vendetta, che, una volta consumata, non lascerà spazio ad altro che vuoto, lacrime e sangue.

L’aspetto che ci sta maggiormente a cuore è che, come invece capita di frequente per molti fatti, le violenze patite dalle donne in India, ma in qualsiasi parte del Mondo, non smettano di essere segnalati.
La speranza è che certe notizie possano dare il coraggio a chi magari quotidianamente subisce molestie anche all’interno delle mura domestiche, ma che non se la sente di denunciarle.
Lo sdegno deve proseguire, che si tratti di aggressioni di branco o commesse da singole persone, che siano ai danni di una donna indiana, africana, indigena o italiana, perché né la ragazza di 23 anni né ogni altra vittima di violenza venga mai dimenticata e perché le morti causate da tali atti non siano mai vane.