Mani macchiate di sangue e petrolio

Documenti falsificati e indagini affidate a società dipendenti: in questo modo Shell e Agip (gruppo Eni) vogliono infangare la verità sulle fuoriuscite di petrolio riversate nel delta del fiume Niger, facendo invece ricadere tutta la colpa sulla corrosione dei loro oleodotti, la cui integrità dovrebbe comunque essere considerata di loro responsabilità, e sulle popolazioni indigene accusate di sabotaggi mai provati.

Le condizioni sul Delta del Niger – foto di Amnesty

Questo è quanto emerge dal report di denuncia attraverso il quale Amnesty accusa le multinazionali petrolifere che da criminali tentano in tutti i modi di passare come vittime, accusando a loro volta quelle popolazioni che da decenni vivono in regimi di oppressione, forse nell’intento così di risparmiare il risarcimento che devono loro pagare per tutti i danni provocati a quelle terre.

Quello del delta del Niger, dove si produce la maggior parte di petrolio distribuito nel mondo, rappresenta il più grande danno ad un ecosistema che sia mai stato perpetrato fino ad oggi sulla Terra.
Le opere condotte da compagnie come la Shell hanno portato queste zone ad essere tra i posti più inquinati e inquinanti del Pianeta; le trivellazioni petrolifere, infatti, sono alla base delle più grandi emissioni di gas serra.

Le terre di cui vi parliamo sono il teatro di sanguinosi conflitti ormai da quasi quarant’anni: guerre e omicidi alimentati e voluti dalle multinazionali citate (e non solo), in modo da ottenere il pieno controllo sulle terre da sfruttare.
Come accadde ad esempio nel 1993, quando l’esercito nigeriano, rifornito di armi dalla Shell, sterminò un’intera tribù provocando più di 1.800 morti, per consentire a questa corporazione di continuare le trivellazioni nella terra degli Ogoni.
Una terra, quella degli Ogoni, sulla quale è stato versato molto sangue, ma che profuma anche di resistenza, quella di un popolo che non si arrende mai, esattamente come l’uomo che un tempo li guidava, fermato fisicamente solo dalla morte, ma i cui ideali vivono ancora tutt’oggi nei ricordi e nelle azioni della sua gente.
Il suo nome era Ken Saro-Wiwa e fu impiccato il 10 novembre del 1995 insieme ad altre otto persone dal regime nigeriano per aver difeso la terra abitata e il futuro del proprio popolo dalle azioni di devastazione condotte dalla Shell.
Fondatore del Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni, per anni si è battuto contro i danni ambientali causati dalla compagnia petrolifera e contro la miseria e l’arretratezza alla quale era abbandonato il suo popolo.
Il poeta ambientalista diede origine ad una vera e propria mobilitazione riuscendo così ad interrompere la produzione di greggio della Shell e a minare il sistema di corruzione e autoritarismo su cui si reggeva il regime di Abacha (regime militare nigeriano).
La Shell, 15 anni dopo la morte del poeta attivista, accettò di pagare 15 milioni e mezzo di dollari (11,1 milioni di euro) per evitare di comparire in un imbarazzante e clamoroso processo, visto che dal 1995 è perseguita dall’accusa di complicità con l’ex regime militare nigeriano.

Ma le devastazioni condotte dalla Shell non si concentrato unicamente in Nigeria: nel 1997 condannò all’estinzione la popolazione colombiana degli U’wa, che, minacciati dall’avvio di un progetto che avrebbe coinvolto le loro terre, preferirono ricorrere al suicidio collettivo piuttosto che permettere la profanazione della propria casa.

Questa compagnia, inoltre, è una delle tre multinazionali coinvolte nella causa intentata da 500 contadini del Costa Rica, i cui campi sono stati resi sterili dai pesticidi: insieme alla Dow Chemical aveva prodotto il DBCP, proibito negli U.S.A., ma fornito ai lavoratori delle piantagioni di banane perché lo utilizzassero nelle coltivazioni.

Con questo articolo vogliamo rendere omaggio alla memoria di Ken Saro-Wiwa, di cui ieri ricorreva il diciottesimo anno dalla sua impiccagione, e alla vita e alla lotta di tutte quelle persone che di fronte all’oppressore non si sono spostate, arrivando anche a sacrificare se stessi per la libertà della terra e del proprio popolo.ken_saro_wiwa

Chiudiamo ricordando le ultime parole pronunciate dal poeta attivista poco prima dell’esecuzione: Il Signore accolga la mia anima, ma la lotta continua.