Mondiali Brasile: espulsi prima del fischio d’inizio

Pochi mesi e i riflettori si accenderanno sul Brasile, il pallone inizierà a rotolare e i soldi a scorrere sempre più velocemente… ma solo per alcuni.

La realtà che ormai da mesi si consuma lontano dai riflettori è invece un’altra e narra di persone espropriate dalle proprie case, buttate in mezzo alla strada senza che venga dato loro alcun tipo di indennizzo, e questo perché? Perché i mondiali di calcio possano andare in scena, un evento sportivo ben più importante, in termini meramente economici, di una qualsiasi vita.

"Il vandalismo è quello del governo che getta le persone per strada" (la frase riportata sullo striscione)

“Il vandalismo è quello del governo che getta le persone per strada” (la frase riportata sullo striscione)

I numeri purtroppo sono parziali: oltre 250.000 persone espropriate al momento, ma se anche si trattasse di una sola persona ad esser stata cacciata di casa a causa dei mondiali di calcio il fatto sarebbe ugualmente gravissimo.

Le persone vengono sfollate perché al posto di quelle che erano le loro case possano essere costruite le infrastrutture necessarie allo svolgimento della manifestazione sportiva. Costruzioni che, post mondiali, non saranno altro che cadaveri di cemento e metallo senza alcuno scopo come è già capitato molte volte.

La dignità del popolo, però, non sono riusciti a metterla a tacere, e non si è fatta attendere: la protesta delle persone non ha fatto che crescere dal giugno 2013, quando, sempre in Brasile, si è tenuta la Confederation Cup.

La FIFA, organo che gestisce tutta l’organizzazione dei mondiali di calcio e da cui dipende la sua buona riuscita, ha istituito tribunali speciali, fuori dalla giustizia ordinaria, per poter perseguire legalmente chi si opporrà al normale svolgimento della manifestazione sportiva. L’esercito brasiliano, dal canto suo, ha fatto sapere che darà il proprio contributo inviando 10.000 uomini in supporto alla polizia locale perché l’ordine possa essere mantenuto.

La verità è che di ordinato non c’è nulla: la follia generata dallo scorrere dei soldi ormai la fa da padrona. Sappiamo che le persone sfollate al momento sono oltre 250.000, ma questi sono i dati che rendono pubblici: quante saranno quelle di cui non si sa nulla? Quanti membri di tribù indigene amazzoniche saranno stati uccisi senza che di loro rimanga memoria?

Ma possiamo fare qualcosa, possiamo decidere se accettare in silenzio tutto questo, facendo finta di nulla, permettendo così a chi è ricco di arricchirsi, a chi è famoso di diventarlo maggiormente sulla pelle di chi è rimasto senza un tetto sotto il quale ripararsi; oppure possiamo ribellarci.
Possiamo decidere di non accettare tutto questo, possiamo decidere di esprimere se non altro il nostro sdegno verso chi in questi mesi sta perpetrando i crimini narrati così come la nostra solidarietà verso chi li sta subendo.
Possiamo fare qualcosa di pratico affinché quando i riflettori si accenderanno sul dio pallone (altro nome del dio denaro) siano rimasti veramente in pochi a venerarlo, perché se sperare che i calciatori si rifiutino di scendere in campo rappresenta solo un’utopia, tenere i televisori spenti e non contribuire a riempire gli stadi sono azioni pratiche realizzabili ognuno di noi.

Perché il rispetto della vita dovrebbe essere l’unica cosa che conta e invece siamo ancora costretti ad usare il condizionale, ma il futuro non è scritto, ha detto un saggio, che se fosse ancora in vita siamo certi si schiererebbe a difesa di chi è vittima di forme di oppressione, proprio come il popolo brasiliano.