Morire all’ombra della palma

Honduras, Colombia, Kalimantan, Sarawak, Guatemala, ma non solo, tanti sono i paesi colpiti dal mercato dell’olio di palma, tante sono le zone dove minacce, persecuzioni, oppressione dei popoli e omicidi sono tristemente all’ordine del giorno.
Una situazione, questa, che dovrebbe bastare per fermare l’operato delle multinazionali, e che invece sembra quasi essere assorbita dalla routine giornaliera di un sistema produttivo che non risparmia nessuno, spargendo vittime figlie del consumismo e del capitalismo.
Ricordiamo il caso dell’Honduras dove, tra il 2009 e il 2014, 88 persone sono state uccise perché facevano parte dei gruppi contadini formatisi nel tentativo di riottenere qualche diritto sulle terre che gli erano state espropriate dalle aziende palmicoltrici.

Doveroso è rammentare anche ciò che è accaduto in Colombia nel 2010, per la produzione di quello che le aziende definiscono “olio di palma biologico”, mercato che sappiamo essere inesistente e contraddittorio sotto ogni punto di vista.
L’azienda colombiana Daabon, fornitrice di marchi del biologico come Rapunzel e Allos, ha estirpato le coltivazioni di cacao e mais di 123 famiglie, cacciate da quelle zone anche grazie all’aiuto della polizia, per poter incrementare le proprie monocolture per la produzione di olio di palma.marchi odp bio

Da non dimenticare la lotta condotta nel Borneo dai Penan e dai Dayak, tribù indigene locali che ogni giorno sono costrette a difendersi dagli squadroni della morte assoldati dalle multinazionali per eliminarle, e a difendere la Terra che abitano da centinaia di anni dagli ingranaggi di quel falso progresso che fagocita ogni cosa. (Fonte – Stop Olio d Palma, dalla pianta alla tavola: nessuno è risparmiato – novembre 2014)

Ma questi sono solo alcuni esempi di ciò che accade quotidianamente nel mondo, non solo a causa del mercato dell’olio di palma ovviamente, e chissà quanti casi simili si sono consumati senza che balzassero agli onori delle cronache, magari subiti da quelle tribù indigene la cui esistenza viene spenta nel silenzio senza che di loro resti traccia né ricordo.

Venerdì 18 settembre, in Guatemala, si è consumato l’ennesimo omicidio legato al mercato dell’olio di palma: il ventottenne Rigoberto Lima Choc è stato assassinato.
L’ambientalista aveva denunciato le operazioni condotte dalla multinazionale Repsa, colpevole di aver avvelenato le acque del fiume La Pasion provocando un’enorme moria di pesci.
Questa multinazionale, oltre ad occuparsi della produzione di sostanze chimiche per la pulizia di impianti, vernici etc., possiede monocolture di palme da olio il cui trattamento avrebbe causato l’inquinamento del fiume. Le monocolture, a prescindere dalla specie vegetale coltivata in maniera intensiva e invasiva, vengono trattate con numerosi pesticidi ed erbicidi, oltre a necessitare di grosse quantità d’acqua per crescere.
A confermare che i criminali vanno sempre a braccetto, tra i clienti di questa multinazionale, come si può notare sul sito della Repsa, figurano nomi noti in ambito di devastazione ambientale e oppressione dei popoli: Chevron, Enel, Coca Cola, Pepsi, Shell. Sono sempre gli stessi i nomi che si ripetono, aziende che hanno un obiettivo comune e uno soltanto, il profitto a qualunque costo, a discapito della salute ambientale e di chi abita le aree colonizzate dalle varie multinazionali, siano essi animali umani o non umani.

Sempre venerdì 18 settembre, a Sumatra, il gigante simbolo della resistenza animale è stato ucciso da quegli stessi bracconieri che tentava di tenere lontani dai suoi fratelli animali.Yongki
Yongky era l’esempio vivente di quel rispetto della vita a prescindere dalla specie di appartenenza, perché oltre a prodigarsi nella protezione dei suoi simili, contribuiva a mantenere una condizione di convivenza pacifica tra quei popoli residenti nelle vicinanze delle foreste e la popolazione animale circostante.
Yongky, un elefante di 34 anni, è stato avvelenato dai bracconieri affinché si potessero impadronire delle sue zanne.
Quella dell’avvelenamento degli elefanti è una pratica molto diffusa nelle foreste di Sumatra e del Borneo, usata anche per difendere le monocolture di palme da olio dalle visite degli animali che, al posto della foresta da sempre abitata, si ritrovano una piantagioni industriale.
Che si tratti dell’abbattimento di una foresta, della morte di una tigre, un elefante o un orango, dell’omicidio di un cittadino preoccupato per la salute del territorio, o di un membro di una tribù indigena, il livello di indignazione e di solidarietà non deve mutare, perché siamo tutti abitanti della stessa Terra, perché è inaccettabile che si debba morire nel nome del “progresso” del capitalismo e del consumismo, perché siamo tutti terrestri e uniti possiamo cambiare molte cose, basta non voltarsi ancora dall’altra parte.