Nessuna scusa per l’olio di palma

Il terrore corre veloce tra le big dell’industria dolciaria in questi ultimi tempi; dall’inizio dell’anno infatti sono impegnate a fornire risposte, sempre più imbarazzanti, a consumatori che in massa scrivono a chi impiega olio di palma nei propri prodotti.

Il velo di disinformazione che per anni le multinazionali hanno utilizzato per celare il reale contenuto dei prodotti è stato finalmente sollevato.glossario odp
Dapprima attraverso un minuzioso lavoro di informazione mirato a spiegare come leggere correttamente le etichette, smascherando quelle diciture fuorvianti. Infine, il colpo di grazia a chi contribuisce ad alimentare il business dell’olio di palma, è arrivato nel dicembre 2014, attraverso il decreto che obbliga ogni azienda a indicare con precisione in etichetta il grasso vegetale utilizzato.

La paura per un prevedibile quanto doveroso e inesorabile calo delle vendite ha condotto le parti interessate a diffondere un dossier redatto da AIDEPI (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane), nel tentativo di porre freno alla fuga dei consumatori.
Sarà nostro piacere, nelle righe che seguono, smantellare questo dossier, ennesima espressione di pubblicità ingannevole e fuorviante, squallidamente di parte, che non mostra alcun reale interesse nei confronti dell’integrità ambientale, oltre ad essere irrispettoso nei confronti del consumatore che si vede recapitare nuove menzogne.

Come prima cosa viene da chiedersi perché abbiano aspettato tutto questo tempo nel fornire un dossier in merito all’utilizzo di questa sostanza se davvero l’olio di palma è così sostenibile, utile e salutare come sostiene AIDEPI.
Perché fino a pochi mesi fa si nascondevano dietro a diciture fuorvianti? Perché solo ora forniscono dati in merito visto che l’olio di palma viene utilizzato da oltre 20 anni a livello industriale?
Domande che si rispondono da sole e che screditano già in partenza un documento che riesce a darsi la zappa sui piedi in più punti.

La prima scusa che salta agli occhi utilizzata per giustificare l’impiego di questa sostanza è la stessa che viene fornita ogni qualvolta ci sia qualcosa da mascherare: offre opportunità lavorative in zone ad alto tasso di povertà.
Queste zone sono rappresentate soprattutto da Indonesia e Malesia, aree da cui proviene quasi il 90% dell’olio di palma prodotto annualmente: tra il 2006 e il 2012, l’Indonesia ha registrato una perdita pari a 60.000 chilometri quadrati di foresta tropicale, aspetto che non viene neanche sfiorato nel dossier di AIDEPI.
Non vogliamo escludere che qualche cittadino malese o indonesiano abbia trovato lavoro negli impianti di raffinazione presenti sul territorio o nei campi di monocolture di palma da olio, ma a quali condizioni? Con che orari lavorativi? Sufficientemente remunerati?
Ormai è risaputo quanto il “libero” mercato abbia solo che impoverito i paesi in questione, giovando principalmente alle corporazioni, prime sostenitrici del mercato senza barriere.
Nel dossier incriminato non si fa menzione delle pratiche utilizzate dalle aziende per ottenere il dominio delle terre, che vengono radicalmente convertite da foreste tropicali, bacini assoluti di biodiversità vegetale e animale, in monocolture intensive, attraverso incendi, ruspe e veri e propri squadroni paramilitari assoldati per cacciare le popolazioni dalle aree prescelte.
Contadini espropriati dei terreni che coltivavano (fenomeno del land grabbing), unica loro forma di sussistenza, senza che essi possano opporsi a tale procedura perché altrimenti, oltre al terreno, perderebbero anche la vita. Vogliamo ricordare alcuni episodi significativi. Il caso della Colombia che risale al 2010 ed è legato alla produzione di quel che viene definito OdP “proveniente da fonti gestite in maniera sostenibile”. Tali fonti “sostenibili” risultano essere gestite dall’azienda colombiana Daabon, fornitrice di marchi biologici quali Rapunzel e Allos; talmente sostenibili che in territorio colombiano hanno deciso di usare il pugno di ferro e, con l’aiuto della polizia, hanno cacciato dai loro terreni agricoli ben 123 famiglie contadine che vi coltivavano mais e cacao. Il caso più violento riguarda l’Honduras, dove in tre anni, dal 2010 al 2013, ben 87 persone sono state assassinate. Il collegamento tra queste è l’appartenenza a un movimento contadino, il MUCA, nato per protestare contro il governo che, attraverso una riforma agraria, ha lasciato in concessione a prezzi stracciati per grandi aziende terreni già di proprietà di contadini troppo poveri in un momento storico come questo. E questi sono solo alcuni esempi delle violenze causate dal mercato dell’olio di palma; potete trovare maggiori approfondimenti in merito consultando il dossier da noi redatto: Stop Olio di Palma – dalla pianta alla tavola, nessuno è risparmiato.
Continuando, il dossier AIDEPI difende l’utilizzo dell’olio di palma sostenendo che, a paragone con la produzione di altri oli vegetali, quello di palma offrirebbe rese migliori attraverso un minore utilizzo di terreno rispetto agli altri. Il fatto è che per produrre olio di oliva non ci risulta che vengano rase al suolo foreste tropicali. Principalmente però il problema risiede nelle tecniche utilizzate tanto per la produzione di oli vegetali come di ogni altro alimento: una monocoltura invasiva e intensiva è dannosa per l’ambiente, che essa venga utilizzata per produrre olio di oliva, di colza etc. Il messaggio che le aziende vogliono far pervenire al consumatore è l’esatto contrario di quanto accade in realtà: il mercato dell’olio di palma non contribuisce a preservare l’ambiente; l’olio di palma, insieme a quelli di mais, soia, canna da zucchero, al traffico di legna illegale e all’industria della carne e dei derivati animali, è tra le principali cause di deforestazione.
Imbarazzante, poi, il punto in cui si giustifica la produzione di questa sostanza per sopperire al numero sempre crescente di popolazione nel mondo, come se la soluzione per sfamare il quasi miliardo di persone che soffrono la fame risiedesse nella commercializzazione di barattoli di Nutella o di merendine Mulino Bianco.
AIDEPI si dà definitivamente la zappa sui piedi quando fornisce i dati di produzione dell’olio di palma nel solo 2014: 70.105.000 tonnellate. Nel dossier viene ovviamente fatta menzione della presenza dell’inesistente mercato sostenibile dell’olio di palma e della certificazione RSPO, biotruffa delle multinazionali con la supervisione del Wwf, che abbiamo già largamente affrontato. Per approfondire la questione potete consultare gli articoli scritti in merito cliccando qui. Assodato che non esiste un mercato biologico o sostenibile dell’olio di palma, se anche la certificazione RSPO non rappresentasse una truffa, essa risulta aver coperto appena il 18% dei 70.105.000 tonnellate di olio prodotte nel 2014, proprio come orgogliosamente sottolineato da AIDEPI.rspo fuck
Le importazioni italiane e internazionali che ne fa uso potete verificarle consultando l’articolo: Olio di palma: nuove indagini e dati.
Il dossier AIDEPI si conclude sostenendo che l’olio di palma non faccia male alla salute, aspetto di cui sinceramente ci è sempre importato poco. Questo mercato va boicottato prima di tutto per la perdita di foreste, di specie animali (orango, rinoceronti, elefanti, solo per citarne alcune) e per l’oppressione subita dai popoli distanti ai nostri occhi che consumano in tutta tranquillità. AIDEPI comunque sostiene che gli acidi grassi saturi contenuti nell’olio di palma sono di poco inferiori a quelli del burro. Ma infatti, contrariamente a testate giornalistiche come, ad esempio, Il Fatto Alimentare, noi non abbiamo mai sostenuto la sostituzione di una sostanza che provoca sfruttamento animale con un’altra che ne provoca altrettanto.

L’unica ragione per cui l’industria alimentare difende l’impiego di olio di palma è puramente economica: il suo costo si aggira attorno ai 65 centesimi di dollaro per chilo di prodotto, in barba all’integrità ambientale, alla libertà degli animali e dei popoli e, se proprio volete sentirvelo dire, alla salute di (voi) consumatori. Fatevi una semplice domanda e vi parrà ancora più semplice la riposta: c’è da fidarsi di chi predica pensando solo al guadagno personale? A voi il resto.

In conclusione, le aziende sono in forte crisi e la stesura di questo dossier lo dimostra. La direzione da far prendere al mercato ora è solo nelle mani del singolo, che, attraverso una più spiccata consapevolezza e responsabilità, può seriamente minare le dinamiche industriali di sfruttamento. Il boicottaggio rappresenta l’arma nonviolenta più semplice e alla portata di tutti, che ognuno può mettere in pratica iniziando dai prodotti riportati nell’immagine che segue.

Volantino disponibile sul sito di Earth Riot (earthriot.org)

Volantino disponibile sul sito di Earth Riot (earthriot.org)

Ricordate che il dossier di AIDEPI è redatto da un’associazione che vuole proteggere i propri guadagni, mentre le informazioni fornite da Earth Riot sono il frutto di volontariato, del lavoro condotto da una realtà che si autofinanzia e che non ha alcuno scopo di lucro. Scegliete voi a chi dare credito.