Olio di palma: nuove indagini e dati

Oggi l’olio di palma non è più quella sostanza misteriosa, difficile da identificare all’interno dei vari prodotti alimentari e della cura personale.
Dallo scorso dicembre infatti ogni azienda, multinazionale e marchio a farne uso è tenuto a riportare con chiarezza la sua presenza in etichetta.
Questo provvedimento ha scatenato, finalmente, la preoccupazione e l’ira dei consumatori, che numerosi si rivolgono direttamente alle ditte interessate per chiedere l’eliminazione dell’olio di palma dai prodotti commercializzati.

Come ogni rivoluzione purtroppo dobbiamo segnalare anche approcci errati e controproducenti riguardo la questione, come quello sponsorizzato da Il Fatto Alimentare, di cui abbiamo spesso parlato, che ha promosso una petizione che richiede alle varie aziende di eliminare l’olio di palma per sostituirlo con il burro. In poche parole, per passare da uno sfruttamento a un altro, oltre a fornire informazioni fuorvianti e ingannevoli in merito ai prodotti che secondo loro potrebbero essere consumati.
Il nostro approccio, ormai dovreste conoscerlo: è quello di non escludere alcuna vittima di sfruttamento, che essa appartenga al mercato dell’olio di palma o all’industria della carne e dei derivati animali. Per non parlare del fatto che a livello di impatto ambientale sostituire l’olio di palma con il burro non porterebbe alcun giovamento.

Le maggiori preoccupazioni da parte del consumatore devono essere appunto rivolte all’aspetto ambientale (land grabbing e deforestazione), allo sfruttamento animale e a quello delle popolazioni espropriate dalle terre abitate. Tutti questi “effetti collaterali” per garantire al consumatore merendine e barattoli di crema spalmabile.
Questi sono gli aspetti che devono far riflettere, e non quello salutare, ovvero quanto male faccia il consumo di prodotti che contengono olio di palma, perché la sua produzione a monte ha già afflitto e danneggiato altre specie animali e persone alle quali viene strappata la libertà a favore del consumismo.
Un consumismo inarrestabile, che alimenta quel processo di deforestazione condotto dalle multinazionali del settore che, dopo aver messo in ginocchio le foreste tropicali delle aree storicamente più colpite, Indonesia e Malesia (da dove proviene l’85% della fornitura mondiale di olio di palma, con la produzione indonesiana che ha toccato le 31 mila tonnellate nel 2014), stanno spostando i loro interessi su quelle africane (terra di origine della palma da olio – Elaeis guineensis) e in quelle amazzoniche.

In Perù sta per verificarsi una delle situazioni più preoccupanti: in questo caso la deforestazione minaccia di colpire 23 mila ettari di foreste primarie, che offrono i più ricchi contenuti di biodiversità vegetale e animale e permettono un regolare processo di precipitazioni atmosferiche.Secondo un’analisi satellitare condotta dell’Associazione per la Conservazione del Bacino dell’Amazzonia (ACCA), l’84,6% di Maniti e Santa Cecilia, aree prescelte per le nuove piantagioni dai gruppi Islandia Energy e Palmas del Amazonas, è foresta primaria; questo significa permettere la deforestazione di 9343 ettari – circa 13000 campi di calcio – di foresta primaria.
Le due compagnie sopracitate stanno ricevendo supporto tecnico e finanziario da Palmas del Espino, leader nell’industria della palma africana in Perù e parte del potente Romero Group del paese.
Ma non è finita, perché ad essere interessate sono anche altre zone del Perù: Santa Catalina e Tierra Blanca, dove la deforestazione toccherebbe 13900 ettari di foresta primaria, grazie ai progetti condotti dalle compagnie palmicoltrici Agricola La Carmela e Desarollo Agroinustriales Sangamayoc, con il supporto finanziario di Palmas del Espino.
Queste multinazionali, come nel caso di Wilmar e Cargill (per fare due esempi), non invadono direttamente gli scaffali dei supermercati, ma sono i principali fornitori di olio di palma di aziende ben più note: Nestlé, Ferrero, Barilla, Pavesi, Mars, Misura, Loacker, Kraft e molti altri.

La situazione africana invece è leggermente diversa. I paesi più colpiti dalla deforestazione per la coltivazione di palme da olio al momento risultano essere Camerun e Congo, dove le monocolture sostituiscono le foreste originarie soprattutto a causa della produzione di olio di palma destinato all’industria dei biocarburanti, nonostante la presunta sostenibilità di questi sia stata più volte smentita.
A portare avanti la devastazione in Camerun è principalmente la compagnia statunitense Herakles Farms, che con il suo progetto colpisce la regione sud-occidentale del paese. La colonizzazione territoriale condotta da questa multinazionale ha privato le comunità locali della foresta da cui dipendevano per i loro mezzi di sussistenza.
Ma vi sono anche compagnie locali, su tutte l’azienda camerunense Azur, che contribuiscono all’abbattimento delle foreste primarie. In questo caso ad essere coinvolta è buona parte dell’area adiacente alla foresta di Ebo, proposta quale parco nazionale, che viene usata dagli elefanti silvani e da molte specie di primati.
A causa del sempre crescente processo di deforestazione, lo scimpanzé nigero-camerunense è uno tra i primati maggiormente a rischio di estinzione al mondo. La sua sopravvivenza è messa a serio rischio dalla distruzione del suo habitat da parte del disboscamento illegale, del bracconaggio e del commercio di carne di animali selvatici, così come dagli effetti del cambiamento climatico.
Un’altra specie locale a grave rischio di estinzione è il mandrillo, una rara specie di scimmia di cui l’80% della restante popolazione mondiale risiede in Camerun e il progetto di piantagione della compagnia Azur porterebbe alla scomparsa di ulteriori lembi del suo habitat naturale.

Esiste però la possibilità di mettere un freno al mercato dell’olio di palma, riducendo significativamente, se non azzerando, quel consumismo sfrenato al quale sopra abbiamo accennato, e l’aspetto più straordinario è che può dipendere da ognuno di noi.
Nella prima metà del 2014 è stato registrato il record delle importazioni di olio di palma da parte dell’Unione Europea, che è salito a 3,48 milioni di tonnellate, il 5% in più rispetto allo stesso lasso di tempo del 2013.
In cima alla lista di importatori europei spicca proprio l’Italia, che al termine del 2014 ha fatto registrare un’importazione complessiva pari a 2 milioni di tonnellate (più del 50% del totale della domanda). A seguire, Paesi Bassi e Spagna.
La sterzata decisiva a questo trend negativo può essere data solo dal consumatore, dalla sua crescente presa di coscienza del problema e da una più spiccata attitudine consapevole e responsabile da esprimere quando fa la spesa.
Una responsabilità che si deve tradurre in una lettura molto accurata delle etichette e nell’evitare di cadere in facili tranelli architettati dal mercato, come quello ad esempio tessuto dall’RSPO, falsa certificazione di sostenibilità dell’olio di palma – che, in quanto monocoltura, non può definirsi tale – che molti marchi come Ferrero e Mulino Bianco stanno sbandierando proprio in queste settimane per giustificare l’utilizzo di questa sostanza.rspo fuck

Quella che segue è la lista delle quantità di olio di palma impiegate dalle singole multinazionali (in grassetto quelle che probabilmente troviamo più spesso sugli scaffali) nel solo 2013:

  • Unilever (Paesi Bassi): 1 milione 523 mila 605
  • BASF (Germania): 200 mila
  • Ferrero (Italia): 150 mila
  • CSM (Paesi Bassi): 107 mila 449
  • Reckitt Benckiser (Regno Unito): 106 mila 985
  • Henkel (Germania): 71 mila 608
  • L’Oréal (Francia): 61 mila 850
  • Vademoortele (Belgio): 57 mila 306
  • United Biscuits (Regno Unito): 54 mila 137
  • Aldi (Germania): 53 mia 100
  • Associated British Foods (Regno Unito): 45 mila 831
  • Barilla (Italia): 39 mila 250
  • IKEA (Svezia): 34 mila
  • Tesco (Regno Unito): 33 mila 811
  • Aviko (Paesi Bassi): 20 mila 509
  • Farm Frites (Paesi Bassi): 18 mila 917
  • Lidl (Germania): 17 mila 530
  • Premier (Regno Unito): 16 mila 358
  • Nutreco International (Paesi Bassi): 15 mila
  • Augustus Storck (Germania): 14 mila 403
  • Arla Foods (Danimarca): 14 mila 025
  • ASDA (Regno Unito): 12 mila 421
  • Smile Foods – Royal Smilde (Paesi Bassi): 12 mila 100
  • Sainsbury’s (Regno Unito): 11 mila 212
  • EDEKA (Germania): 11 mila 175
  • REWE Group (Germania): 10 mila 100
  • Lotus (Belgio): 8 mila 700
  • Scamark (Francia): 8 mila 364
  • Remia (Paesi Bassi): 8 mila 300
  • Royal Ahold (Paesi Bassi): 8 mila
  • Lantmännen (Sveza): 7 mila 546
  • Groupe Lactalis (Francia): 7 mila 400
  • Bongrain (Francia): 7 mila
  • Carrefour (Francia): 7 mila
  • Les Mousquetaires (Francia): 6 mila 537
  • Dansk Supermarket (Danimarca): 5 mila 889
  • Oriflame (Svezia): 5 mila 801
  • Morrisons (Regno Unito): 5 mila 778
  • Karl (Finlandia): 5 mila 636
  • Yves Rocher (Francia): 5 mila 125
  • Cémoi (Francia): 5 mila 100
  • Magasins (Francia): 4 mila 174
  • Co-operative (Regno Unito): 3 mila 890
  • Kaufland (Germania): 3 mila 674
  • HARIBO (Germania): 3 mila 350
  • Marks & Spencer (Regno Unito): 3 mila 064
  • Sodexo (Francia): 2 mila 939
  • Waitrose (Regno Unito): 2 mila 728
  • Brioche (Francia): 2 mila 585
  • Delhaize (Belgio): 2 mila 500
  • Casino (Francia): 2 mila 376
  • ICA (Svezia): 2 mila 200
  • Jumbo (Paesi Bassi): 2 mila
  • Harry’s (Francia): 1 mila 800
  • Axfood (Svezia): 1 mila 690
  • Reitan/REMA (Danimarca): 1 mila 463
  • Laboratoire L’Occitane (Francia): 1 mila 287
  • Warburtons (Regno Unito): 1 mila 180
  • SOK (Finalndia): 1 mila 145
  • Dcoop Sweden (Svezia): 949
  • Raisio Oyj (Finalndia): 841
  • Kesko Food (Finlandia): 800
  • Ecover (Belgio): 775
  • Boots (Regno Unito): 367
  • R&RIce cream (Regno Unito): 211

Questo mercato scatena un giro di soldi difficile da immaginare; non poteva quindi mancare lo zampino delle banche.
Recenti indagini condotte da TuK Indonesia e Profundo hanno identificato i banchieri dietro il controverso settore indonesiano dell’olio di palma.

banche odp

Le banche internazionali, che in cima alla lista vedono HSBC del Regno Unito e OCBC di Singapore, sono identificate come i maggiori prestatori a beneficio di un gruppo di 25 affaristi dell’olio di palma, i quali sono controllati da benestanti magnati, spesso attraverso compagnie holding in paradisi fiscali.

La responsabilità del consumatore risiede anche nel dare continuità a queste informazioni affinché sempre più persone prendano posizione contro il mercato dell’olio di palma, il cui unico destino accettabile è quello che prevede la sua totale abolizione.
In merito a questo, vi ricordiamo che sul sito di Earth Riot, alla sezione STOPOdP, potete trovare tutti gli strumenti utili per un corretto boicottaggio e la diffusione di informazione pulita.

Fermare il mercato dell’olio di palma è possibile. Fermarlo tocca a noi!

Fonti:

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