Papua occidentale: la guerra segreta

Una guerra di cui nessuno parla, un po’ per disinteresse da parte dei media stranieri, un po’ per i rischi che devono corre quei pochi giornalisti che, a costo della vita, tentano di raccontare quanto sta accadendo da decenni in Papua occidentale (Sudest asiatico).
La realizzazione di questo articolo è stata possibile solo grazie al giornalista olandese Rohan Radheya che, sotto copertura, ha potuto trascorrere cinque mesi in Papua occidentale, documentando così la lotta per l’indipendenza dal brutale controllo dell’Indonesia, e grazie alla segnalazione ricevuta da un’attivista che ci ha informato di vicende a noi ancora sconosciute.
Come racconta Radheya, a causa delle restrizioni alla stampa, passate e presenti, qualsiasi report sulla lotta per l’indipendenza in Papua occidentale è raro; il documentario da lui girato rappresenta una delle poche testimonianze della guerra che si sta consumando in quei territori, alimentata da accordi tra governi e multinazionali per il controllo delle miniere locali.

Tutto ebbe inizio quando gli Stati Uniti scoprirono grandi depositi di riserve d’oro e di rame a Tamika (Papua occidentale), realizzando che probabilmente si trattava delle più grandi al mondo.
In quello stesso periodo l’Indonesia cambiò presidente e la salita al potere di Suharto segnò l’inizio della dittatura sulla Papua occidentale a causa dell’accordo stipulato in segreto con l’allora presidente americano Nixon, un’azione funzionale anche a tagliare fuori i rivali olandesi che furono messi a tacere attraverso minacce di guerra da parte degli statunitensi.
In poco tempo l’Indonesia invase la Papua occidentale, permettendo così agli Stati Uniti di dare inizio alle loro operazioni minerarie, con la promessa però che entro cinque anni avrebbero lasciato il paese e che durante la loro permanenza in Papua avrebbero aiutato il popolo nello sviluppo delle terre abitate.
Il governo indonesiano non mantenne nessuna delle promesse fatte al The New Guinea Raad, comitato creato grazie alla collaborazione con gli olandesi, attraverso il quale i papuani occidentali proclamarono una costituzione, un inno nazionale, una bandiera e un piano per la transizione del potere, e in breve tempo il movimento per l’indipendenza della Papua fu preso di mira dando inizio a omicidi di massa.free west papua disegno
L’esercito indonesiano rappresenta la ragione principale delle violazioni dei diritti umani in Papua, con una presenza di circa 45.000 persone armate, grazie anche al contributo offerto da volontari e fazioni nazionaliste indonesiane.
Ma se da un lato si deve registrare lo scarso interesse a queste vicende da parte dei media occidentali, e la conseguenziale mancanza di solidarietà che sta segnando anche la perdita d’identità e la storia della Papua, dall’altro non mancano i contributi al regime oppressivo in corso da parte di alcuni stati stranieri che continuano a investire nelle miniere papuane: Stati Uniti, Australia e Giappone sono le principali nazioni presenti sul territorio papuano. Il colosso minerario statunitense Freeport-McMoRan possiede gran parte della miniera di Grassberg, ritenuta oggi la più grande del mondo per riserve d’oro e di rame. Questa multinazionale finanzia direttamente l’esercito indonesiano affinché gli sia garantita la protezione della miniera e dell’area circostante.
Gli investimenti stranieri negli armamenti locali rappresentano una grande fonte di guadagno per l’Indonesia e l’esercito è stato ripetutamente accusato di aver addirittura inscenato incidenti per ottenere più denaro per la protezione dalle compagnie minerarie
straniere. Un’immagine di panico, caos e pericolo agli occhi del pubblico locale e straniero che va a totale vantaggio dell’esercito indonesiano, che in questo modo può giustificare la necessità di nuovi investimenti da parte delle compagnie estere negli armamenti.
Questo dà il via a un effetto a catena che si ripercuote anche sulle forze di polizia della Papua occidentale che, se da un lato permettono dimostrazioni e manifestazioni di protesta, dall’altro impiegano poco tempo a sfruttare ipotetiche situazioni di pericolo, strumentalizzate ed esagerate affinché venga investito più denaro nella sicurezza, basti pensare che durante le manifestazioni permesse sono presenti, per quanto possa risultare inimmaginabile, cento poliziotti armati per dimostrante.
Il conflitto interno in Papua rappresenta una grande fonte di profitto a livello quotidiano, l’esempio di una colonizzazione ben riuscita che, oltre a privare della libertà e spesso della vita il popolo papuano, sta causando anche la perdita dell’identità culturale di un paese che un tempo vantava 275 lingue diverse e altrettante tribù.
Oggi i papuani occidentali non rappresentano più la maggioranza nella loro Terra e, a causa della colonizzazione indonesiana e della conseguente condizione dei diritti umani che peggiora giorno dopo giorno, c’è il timore che si possa ripetere l’esodo del 1984 verso la Papua Nuova Guinea, dove ad oggi si stimano 10.000 rifugiati papuani occidentali.

Il documentario di un’ora realizzato da Rohan Radheya, Melanesian Dreams, probabilmente non avrebbe mai visto la luce se non fosse stato per il supporto e la collaborazione offerta da alcune persone del luogo che, a discapito della propria libertà e della propria vita, hanno
comunque accettato di raccontare le loro storie e di comparire nel filmato pur di far sapere al mondo quanto sta accadendo in Papua occidentale. Di seguito, il trailer del documentario.

Le ritorsioni su chi collabora con giornalisti stranieri sono immediate, come è capitato ad Areki Wanimbo, rappresentante della tribù occidentale di Wamena, condannato dal governo indonesiano a vent’anni di galera con l’accusa di tradimento perché aveva svolto volontariamente il ruolo di montatore per la realizzazione di due documentari francesi.
La censura è uno strumento caro a governi e multinazionali, utilizzata strategicamente ogni qualvolta vi sia la necessità di mantenere quel velo di ignoranza utile a nascondere crimini che, se rivelati, minerebbero gli enormi interessi che in questo caso ruotano attorno alle estrazioni di oro e rame.
L’informazione pulita e libera è l’arma nonviolenta maggiormente efficace a disposizione di chi invece vuole far conoscere la verità per dare voce a chi è vittima di atti d’oppressione e sfruttamento dettati dalla fame di dominio e di denaro.

Il velo di omertà si è dissolto, ora sta a noi/voi diffondere le informazioni utili affinché il regime oppressivo subito dal popolo papuano possa essere denunciato in tutto il mondo, nella speranza che questo possa contribuire a porre un freno a dinamiche di dominio e sfruttamento fin troppo diffuse, per la liberazione della Terra e di chi la abita.

Fonte: Visiontimes