Postgiudizi sul junk food – PRIMA PARTE

La settimana scorsa su La ½ porzione del Corriere della Sera l’editorialista Pierluigi Battista ha attaccato pesantemente chi nel mondo si reputa contrario al junk food. A noi il suo articolo è sembrato confusionario e pieno di inesattezze e superficialità e abbiamo pensato di rispondergli.key_art_super_size_me

Quelli che vituperano il cosiddetto junk food non sanno di cosa parlano. Sono prigionieri di un pregiudizio ideologico che li rende insensibili al richiamo delle patatine fritte un po’ gommose di un fast food.

Ah, davvero? Pregiudizio ideologico? Forse il signor Battista non si informa bene prima di battere le dita sulla sua sfavillante tastiera. Già, perché se ci si mettesse a stampare tutte le relazioni di medici, nutrizionisti, ricercatori e di chi in materia sicuramente più autorevole tanto di noi quanto del suddetto opinionista che sono state pubblicate negli ultimi… facciamo anche solo cinque anni inerenti ai fast food, probabilmente riempiremmo un intero ufficio. E da queste relazioni i fast food non escono propriamente con un’immagine vincente, tutt’altro. Tanto per citarne una, la recente pubblicazione di Roberto De Vogli, Anne Kuovonen e David Gimeno, consultabile cliccando qui.

Diffamano il cibo amato da milioni e milioni di persone in tutto il mondo, ma bollato come l’artefice di ogni nefandezza.

Che dire, questa sembra paranoia. Dopotutto non ci sembra che solo i fast food siano nel mirino… ma poi di chi? Certo, il cibo che servono è amato da molti. Chi vi scrive in questo momento un tempo lo amava e non ha problemi ad ammetterlo: ha però scelto di non mangiarlo più, ha modificato le sue priorità. Perché? Beh, i motivi sono molti, li ripetiamo spesso, e facciamo prima a reindirizzarvi alla sezione del nostro sito su McDonald’s. Ma visto che a quanto pare rientriamo in questo campione di persone contro cui si scaglia Pierluigi Battista, vogliamo rassicurarlo: non riteniamo i fast food il male di tutto il mondo. Li riteniamo buona parte del male. Un’altra buona parte sono gli OGM, i pesticidi e gli altri agenti chimici simili, gli allevamenti, le monocolture, le miniere di coltan, ma anche di oro e simili, l’alta velocità, le megadighe in Patagonia e altro ancora. E ora che ci dia degli hipster.

Hanno fatto addirittura un film-documentario in cui si vede un pazzo che mangia hamburger di McDonald’s per un mese di fila e poi si lamenta pure perché è mostruosamente ingrassato. Ma la colpa è del pazzo che si ingozza in quel modo, non del fast food.

Innanzitutto, Morgan Spurlock mangia per un mese da McDonald’s, è vero: ma non è assolutamente vero che si ciba di soli hamburger. Ammette infatti egli stesso di voler provare qualsiasi tipo di prodotto sia offerto nei menù di McDonald’s, dal celeberrimo Big Mac alla semplicissima bottiglietta d’acqua, e per fare questo si spinge anche in diversi stati americani, dove sono presenti menù che si rifanno a specialità locali oppure che al tempo avevano la cosiddetta opzione “SuperSize”. Inoltre c’è da tener conto che Spurlock è statunitense e che il suo documentario si rivolge principalmente al pubblico degli Stati Uniti: se ci si fa caso, infatti, egli si riferisce sempre agli stili di vita, ai modi di mangiare, alle abitudini culinarie e ai dati in fatto di salute dei cittadini statunitensi. E va egli stesso in giro per le strade delle città americane (ma anche nelle scuole) a intervistare i cittadini, di qualsiasi età e di diversa estrazione culturale sul loro rapporto con i fast food. Quindi il discorso per “noi europei” è naturalmente diverso. Negli Stati Uniti c’è davvero gente che ci pranza e ci cena – e non così poca come si potrebbe pensare – e dalle interviste di Spurlock lo si può un minimo dedurre. Quindi, come egli stesso afferma all’inizio del suo documentario, Spurlock vuole dimostrare gli effetti collaterali di questa tendenza statunitense – che però si sta allargando pian piano anche oltreoceano.

Provate voi a trangugiare per un mese le salsicce del paesello natio, molto molto biologiche, totalmente km 0, integralmente ecologiche, e poi date un’occhiata alla bilancia, oppure andate avanti per trenta giorni a tocchi di italianissimo lardo di Colonnata: l’obesità sarà il vostro destino, e mica per colpa del junk food. No, della vostra dissennatezza. È un concetto semplice, ma la guerra contro l’obesità genera mostri.

A questo punto ci piacerebbe moltissimo sapere cosa mangia abitualmente il signor Battista: certo, perché forse non sa che nell’alimentazione di un italiano medio ogni giorno si consuma almeno una volta un tipo di carne. Basta pensarci: la carne non è solo la bistecca, la salsiccia, il filetto, l’arrosto, il lardo, ma lo sono anche tutti i tipi di affettati che spesso e volentieri vengono trangugiati con leggerezza senza ricordarsi di tutto quello che comportano (e hanno comportato), così come lo sono tutti quei prodotti industriali a base di surrogati animali quali wurstel, cordon bleu e altri che si trovano in tutti i banchi frigo e tra i surgelati di ogni supermercato italiano. Interessante il fatto che non sia stato proposto, invece, un mese a base di frutta o di verdura. Ma il problema che espone SuperSize Me non è solo quello dell’obesità, attenzione: Spurlock tratta anche quello del diabete, ad esempio, che colpisce moltissimo la popolazione americana. Quindi qui non c’entrano solo lardo, salsicce e compagnia bella, ma anche bibite extrazuccherate come tutte quelle a marchio Coca Cola servite nei ristoranti McDonald’s (Coca Cola, Fanta, Sprite, Nestea) e la stragrande maggioranza dei prodotti serviti nei fast food, insalate comprese, riempiti di zucchero, che crea dipendenza (Spurlock stesso indaga in merito durante il documentario). Inoltre bisogna notare che Morgan Spurlock non si limita ad analizzare il fenomeno McDonald’s in sé, ma parte da questo in quanto emblema di un mondo più vasto, quello dei fast food in genere, sì, del junk food, ma anche quello di un’alimentazione che sempre più vira verso il prodotto precotto, preconfezionato, dalle etichette misteriose e che spesso dicono molto senza dire nulla, come mostra quando si reca presso diversi istituti scolastici sparsi in tutti gli Stati Uniti. Tale aspetto del documentario deve allarmare anche da questa parte dell’oceano, perché come negli Stati Uniti anche qui merendine, prodotti industriali, bibite zuccherate di ogni tipo vengono proposte a ragazzi di ogni fascia di età all’interno di realtà scolastiche e addirittura di impianti sportivi, quasi come se fossero le uniche scelte disponibili su tutta la faccia della Terra.
Un appunto ancora: parlare di salsicce definendole “integralmente ecologiche” è qualcosa di aberrante. Un maiale cresciuto all’aperto che pesa intorno ai 100 kg consuma al giorno 3 kg di mangime. Quindi, tenendo conto del consumo di risorse e di terreni che implica, come si può reputare la salsiccia (così come la carne in generale) un prodotto “ecologico”?

Avendo notato che questo articolo sta diventando un po’ più lungo del solito, per alleggerire la lettura, lo abbiamo diviso in due parti. A mercoledì la seconda puntata. Restate sintonizzati 😉

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