Postgiudizi sul junk food – SECONDA PARTE

La settimana scorsa su La ½ porzione del Corriere della Sera l’editorialista Pierluigi Battista ha attaccato pesantemente chi nel mondo si reputa contrario al junk food. A noi il suo articolo è sembrato confusionario e pieno di inesattezze e superficialità ed ecco la seconda parte della nostra risposta.

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Siamo diventati anti-proibizionisti sulla marijuana, per fortuna. Ma scateniamo la nostra libidine proibizionista sulle merendine e le bibite zuccherate. Diciamo che vogliamo proteggere i conti del nostro sistema sanitario, ma chiedete a Maureen Dowd come ci si sente se sulla confezione delle barrette all’hascisc si dimenticano di indicare il dosaggio consigliato: mancava poco che la celeberrima columnist, ignara delle dosi, ci lasciasse la pelle. Basta un’etichetta, e uno si regola.

Ma in quale Paese vive Pierluigi Battista? Davvero in Italia è più alto il numero dei favorevoli alla legalizzazione della marijuana rispetto a quello dei consumatori di merendine e bibite zuccherate? Questa affermazione ha del ridicolo e dell’anacronistico (forse le merendine e le bibite zuccherate hanno avuto meno “sostenitori” giusto quando queste stavano ancora muovendo i loro primi passi in un mercato molto diverso da quello cui siamo abituati al giorno d’oggi, meno legato all’industria e ai tempi sempre più accelerati di produzione). E poi… “libidine proibizionista”? Quindi per Battista il proibizionismo fa parte della natura umana, lo ritiene un piacere proprio dell’Homo sapiens? Pare un po’ offensivo, come punto di vista, ma se anche così fosse sarebbe interessante sapere quale tipo di proibizionismo dia tanto piacere all’anima di Battista, se ritiene che ogni persona abbia un po’ di proibizionista in sé e al tempo stesso si dichiara favorevole alla marijuana ma anche ai fast food e al junk food più in generale. Ad ogni modo, non basta un’etichetta per regolarsi ed è proprio Maureen Dowd a saperlo meglio di tanti altri. Infatti sulla ormai celeberrima barretta di cioccolato all’hascisc che la columnist del NY Times ha assaggiato era presente l’etichetta, ma non erano indicate le dosi consigliate per chi non abituale fumatore di marijuana. Questo è un problema di cui spesso parliamo, l’etichetta: ecco perché ci scagliamo frequentemente contro il prodotto trasformato, confezionato, industriale, impacchettato, di cui non si conoscono realmente origini, ingredienti, dosi, ma nemmeno il vero e proprio produttore. Molto meglio la filiera corta, la possibilità di parlare non solo con chi ti vende il prodotto (in questo caso solitamente la materia prima e non qualcosa di trasformato), ma con chi lo produce, che poi solitamente è la stessa persona. In questo modo si crea un vero e proprio rapporto produttore/consumatore, un rapporto di vera fiducia, migliore di qualsiasi fittizia garanzia da parte di una qualsiasi industria, come un numero verde per i clienti, un ancor più anonimo indirizzo e-mail o una scarna e a tratti indecifrabile etichetta che nella maggior parte dei casi non dà tutte le informazioni e quelle che salta spesso si rivelano essere le più importanti. Peccato che non sia questo il caso né dei fast food né del junk food in genere di cui si fa tanto baluardo Battista. Sono proprio i fast food, come mostra Spurlock in SuperSize Me, a non dare esaustive informazioni nutrizionali e il junk food come bibite e merendine, ma anche cibi surgelati e quant’altro, a non presentare etichette affidabili ed esaurienti. Quindi Pierluigi Battista dovrebbe rileggere qualche volta in più i suoi articoli, prima di pubblicarli, perché… no, non quadrano proprio.

Se si continua ad andare al fast food, poi, non è perché sia soltanto economico, ma perché è buono. Il fast food risponde a un bisogno sociale. Pauperisti e piagnoni come siamo, pensiamo solo che l’attrattiva sia il prezzo basso. Non è vero: andare da McDonald’s piace tantissimo ai bambini, come sanno tutti i genitori non fanatizzati dalla propaganda salutista. E ai bambini del prezzo non frega nulla; piace il panino, i colori, le sorprese, le patatine, il ketchup, la velocità, i colori.

Che i fast food siano economici è chiaro e oggettivo; che siano buoni è innanzitutto soggettivo. Ma ad ogni modo non ci pare proprio di poterli definire “buoni”. Il loro cibo è pressoché insapore, “plasticoso”, tralasciando quel che passa per una friggitrice, dove lo stesso olio è usato per così tante volte che i cibi fritti lì dentro prendono un’untuosità e un gusto decisamente forti, impossibili da non notare. Ma vogliamo parlare dei panini? Formaggio scadente, carne che non ha sapore, quel che dà un po’ di gusto possono giusto essere eventuali cipolle e salse (ovviamente queste ultime quanto più industriali possibile, piene di additivi chimici, sigle irriconoscibili se non giusto a chi informato in materia). Ai bambini piace McDonald’s? Signori e signori, Pierluigi Battista ha scoperto l’acqua calda. Certo che ai bambini piace McDonald’s. Quale bambino di per sé preferisce il gusto di un broccolo a vapore piuttosto che quello di una patatina fritta? Non per questo la patatina fritta è meglio del broccolo a vapore; se così fosse, perché educare i bambini? Avrebbero già tutte le risposte e le risorse necessarie per crescere sani. E lo dice Battista stesso: le sorprese, i colori, la velocità. Perché a un bambino non dovrebbe piacere tutto questo? McDonald’s è stato concepito a immagine di bambino, per attirare a sé una fetta di clientela molto succulenta a questo tipo di azienda: la famiglia. Lì i genitori non devono cucinare, spendono poco per sfamare l’intera famiglia e in certi ristoranti i bambini possono pure giocare in appositi spazi dedicati. Ma questo significa che chi non li porta a mangiare da McDonald’s e compagnia bella sia un fanatico della salute? O invece magari tiene semplicemente alla salute del proprio figlio (oltre che alla propria, perché no) e preferisce evitare che questi trangugi ignote sostanze non ben specificate (per non parlare della pulizia “dietro alle quinte”: si sa quanto spesso siano poco pulite postazioni che richiedono una tale velocità nelle ordinazioni e nelle preparazioni)? Una madre e un padre che tengono alla salute del figlio meritano quindi di essere offese da Pierluigi Battista che in fatto di alimentazione si definisce egli stesso un persona che ha guadagnato diversi chili, che mangia disordinatamente, che sgranocchia per il nervosismo? Perché dovrebbe essere una persona di questo tipo a dare consigli, pareri e giudizi in fatto di cucina e alimentazione? Un’ulteriore precisazione è che i fast food rispondono sì a un bisogno sociale, ma non a quello che lascia intendere Battista: i fast food non soddisfano chi vuole mangiare bene (nel senso di buono e non così nocivo alla salute come si pensa) e a poco prezzo, ma semplicemente chi vuole mangiare a poco prezzo e magari anche velocemente. Tutto qui. Se si vuol mangiare bene, che si vada in un ristorante dove si offrono gusti veri, naturali, non imitazioni di questi. Se poi Battista, che appunto non ci pare un grande esperto in materia, si accontenta di scadenti imitazioni, buon per lui.

E guardate che distinguere nel fast food tra una cosa buona e una meno buona implica gusto e competenza. Gli anelli di cipolle fritte sono meravigliosi da Burger King. Ma se cercate un ottimo cheeseburger rivolgetevi a McDonald’s piuttosto. Pessime le insalate che imitano la natura: le fanno per rispondere ai molesti che non vogliono sentirsi in colpa con prodotti standardizzati e considerati di serie B, junk, dai sacerdoti del gastronomicamente corretto. Se si lanciasse un referendum sul McBacon, ci sarebbero un sacco di votanti, a testimoniare il fatto che l’astensionismo crolla quando qualcosa suscita autentico interesse.
In America e a Londra non perdete l’appuntamento con Kentucky Fried Chicken, quello che nelle insegne mette uno che sembra Leone Trockij che vi servirà un pollo semplicemente magnifico.

Abbiamo fatto qualche ricerca: pare che Burger King sia l’unico fast food (almeno tra i più noti e presenti in tutto il mondo) a offrire anelli di cipolle fritte. In alternativa si trova giusto Spizzico, che però aggiunge qualche cipolla grigliata in due panini. Non è ovviamente la stessa cosa… quindi dove sarebbe la competenza? Forse nell’affermare che il pollo di KFC sia il migliore tra quelli da fast food? Che gran scoperta, in pratica KFC non fa altro, ci mancherebbe ancora che il suo pollo non avesse qualcosa in più rispetto agli altri polli junk. E il cheeseburger? Si sa che quello di McDonald’s è un classico, anzi, che McDonald’s stesso è un classico, un lovebrand per noi italiani che siamo comunque poco esperti in materia di fast food rispetto a Stati Uniti e altre nazioni con tradizioni culinarie meno rinomate della nostra. Quindi è ovvio che un “prodotto punta” come il cheeseburger di McDonald’s risulti a noi IL cheeseburger. Parlando delle insalate: si sa benissimo ormai che la percentuale di chi diventa vegetariano o vegano va aumentando sempre più e questo porta il mercato a virare verso un’offerta che si basi anche su menù di tipo vegetale, nel sordido tentativo di non perdere questa fetta di potenziali clienti e di accaparrarsi anche la loro attenzione. Inoltre, prendendo per esempio le insalate di pasta che da più di un anno fa sono state lanciate con la bella presenza di Belen Rodriguez, la spiegazione è più che semplice: McDonald’s non ha puntato alla salute, quanto a darsi un tono “locale” – così come ha fatto con altre opzioni oltre alla pasta presenti nei suoi menù – per negare invece quell’immagine che ormai da molto tempo le è stata (giustamente) affibbiata di simbolo della globalizzazione. Anche in altri Paesi nel mondo McDonald’s ha proposto specialità locali riviste in chiave fast&junk, si prenda per esempio il caso del fast food interamente vegetariano in India, dove la maggior parte di cittadini non mangia carne per motivi religiosi e culturali. Scelte di marketing.
Riguardo invece all’ipotetico referendum sul McBacon… ovviamente risponderebbero i clienti di McDonald’s che, sì, si sa, sono molti, non c’è bisogno che sia Battista ad informarcene, ma questo basta ad avvalorare tutte le assurde tesi finora riportate in questo articolo? Se da McDonald’s si recano in molti allora McDonald’s è buono e i salutisti e chi altri contrari sono dei fanatici? Professionale, da parte dell’opinionista del Corriere, come tesi.

Non credete ai profeti di sventura, a quelli che preferiscono i pesticidi a pioggia pur di contrastare gli Ogm.

Come? Cosa? A questo punto parte la risata, quella per non piangere. Incredulità. Ma Battista sa di cosa sta parlando? O anche lui come la Dowd ha ecceduto nelle dosi? Uno dei principali motivi per cui le persone contrastano gli OGM è proprio il fatto che questi implicano un elevatissimo uso di agenti chimici. Come si può quindi dire che chi contrasta gli OGM preferisca i pesticidi a pioggia? Signor Battista, a questo punto ci rivolgiamo direttamente a lei per darle un consiglio: legga e si documenti, e lo faccia sempre prima di pubblicare. Sarà anche un giornalista di lunga data, ma non è mai troppo tardi per imparare qualcosa. Si eviterà ulteriori brutte figure.

Non credete alla favola del cibo-spazzatura. Spazzatura è quando se ne mangia a dismisura.

Sicuramente mangiarne a dismisura non fa bene, quasi come qualsiasi cosa, del resto. La differenza, però, tra un piatto di pasta al pomodoro, per fare l’esempio più banale, e un Big Mac sta negli ingredienti. Provate a pensare agli ingredienti di una pasta al pomodoro e poi a quelli di un Big Mac: quali sono sani, quali no? Di quali vi sentireste più sicuri di mangiare se voleste eccedere un po’ e di quali no? La risposta la conoscete già.

Ricordatevi che non è mai scoppiata una guerra tra due Paesi che ospitino un McDonald’s.

E con questo? Quale sarebbe il punto? Come fa notare un utente che ha commentato l’articolo di Battista, “Semplicemente che i due paesi in questione sono stati colonizzati dal neoimperialismo statunitense, non che i prodotti Mc Donald’s non siano di pessima qualità o strapieni di conservanti.”. Inoltre, ancora una volta, dobbiamo evidenziare un errore, una mancanza di ricerca: esistono almeno due casi di conflitti tra Paesi ospitanti McDonald’s. Il primo vede protagonisti gli Stati Uniti e Panama. McDonald’s è presente negli Stati Uniti dal 1940, a Panama dal 1971, e tra le due nazioni si può ricordare l’invasione di Panama, dove gli Stati Uniti appoggiarono l’opposizione panamense per sradicare l’allora dittatura di Noriega tra il 1989 e il 1990. Che sia stato per una giusta causa, rappresenta comunque un conflitto tra due nazioni con tanto di Mc.
Ma vogliamo tralasciare il caso della guerra tra Stati Uniti e Pakistan che va avanti ormai da sei anni? E forse in Pakistan non esistono McDonald’s? Tutt’altro: il primo è stato inaugurato nel 1998, nel 2005 già si arrivava a 27, di oggi non sappiamo il numero esatto, ma da quanto dice il portale www.mcdonalds.com.pk i pakistani possono mangiare Big Mac sul loro territorio, eccome.

Per il resto scegliete con attenzione e discrezione. Le file alle casse sono sempre lunghissime e avete tutto il tempo di selezionare mentalmente ciò che vorrete mangiare. File lunghe perché c’è un sacco di gente che non dà retta alle élites sussiegose. Viva il popolo.

Non crediamo che alla maggior parte dei clienti dei fast food interessi avere tutto il tempo, quanto invece di poter accedere alla velocità. Ma questi commenti a parte, non ci pare proprio di poter essere definiti sussiegosi, altezzosi solo perché non ci piace mangiare chimico, perché preferiamo sapere cosa buttiamo in pancia, perché riteniamo nostro diritto alimentare in modo sano i nostri figli. Questo denota un’élite? McDonald’s e simili sono il cibo del popolo perché dai costi più accessibili? Ma i loro costi non sono forse più accessibili perché a monte ci sono stati costi di produzione irrisori visto che le materie prime così come la produzione non sono curati? McDonald’s e simili sono del popolo perché ci va molta gente? Molta gente, sempre più, al giorno d’oggi diventa vegetariana, vegana, vuole informarsi e tenersi informata sul cibo salutare, sulla filiera corta, ma anziché riconoscerne i bisogni Battista li etichetta come “fanatici”. Non sono forse anche loro, non siamo forse anche noi il popolo? Viva il popolo. Sì, viva il popolo!

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