Salvati dal piatto

Attivist* cinesi per i diritti animali hanno portato a termine un’opera di liberazione di circa 2.000 gatti destinati ai ristoranti della provincia di Guangxi, dove sarebbero stati venduti come carne di coniglio.
Gli animali, probabilmente rapiti, stipati in strette gabbie ammassate sui camion che li stavano trasportando ai luoghi di destinazione, si trovavano in pessime condizioni e molti di loro riportavano cicatrici e graffi sul corpo.gatti cina
Ultimamente in Cina si è registrato un aumento degli atti di liberazione animale grazie all’impegno di molt* attivist* che si preoccupano di denunciare questi crimini e/o di dar vita ad azioni dirette.
Lo scorso dicembre una dozzina di cani, che sarebbero stati usati per la sperimentazione animale nella provincia di Shaanxi, sono stati salvati, mentre all’inizio di quest’anno molt* attivist* si sono riuniti al Festival della carne di cane che ogni anno si svolge a Yulin, nella provincia di Guangxi, nel tentativo di salvare quanti più animali possibili dal macello.

Quanto sta accadendo dovrebbe anche servire per scacciare inutili quanto squallidi commenti razzisti che vedono spesso coinvolto proprio il popolo cinese, accusato di livelli di disumanità ben superiori ai nostri.
In occidente la cultura non prevede il consumo di carne di gatto o di cane, ma quella di maiale, manzo o pollo viene tranquillamente accettata e gli atti di schiavitù e morte inflitti a questi animali vengono considerati normalità, in quanto etichettati quali “animali da reddito”.
Prima di lasciarsi andare a giudizi razzisti che premono su una sorta di superiorità culturale, bisognerebbe preoccuparsi di debellare la schiavitù animale presente in “casa propria”, e per casa propria intendiamo anche prendere coscienza delle scelte che si fanno nel quotidiano, perché se si consuma con leggerezza un prodotto frutto dello sfruttamento di una qualsiasi specie animale, allora non si ha alcun diritto di giudicare un altro popolo.
Non c’è alcune differenza tra un cane, una maiale, una mucca, un pesce etc., sempre di esseri senzienti si tratta, e se si prova indignazione verso il consumo di carne proveniente da un animale che dalle nostre parti invece viene etichettato “da compagnia” bisognerebbe avere il buon gusto di farsi un esame di coscienza e dar vita a quel cambiamento personale che possa condurre verso il rispetto e la liberazione di ogni singola specie.
Questo discorso vale non soltanto per chi non mangia cani e gatti ma polli e pesci sì; si consideri ancora specista anche ogni vegano per i diritti animali che si indigna maggiormente davanti a un piatto di costine di cane piuttosto che di agnello. Prima di parlare degli errori degli altri, guardiamo dentro noi stessi.

Fonte: DailyMail