A Calais la minaccia di un nuovo campo di concentramento per migranti

L’umanità, purtroppo, ha dimostrato più volte di non saper imparare dagli errori commessi in passato, perché altrimenti sarebbe sufficiente andare con la memoria a poco più di settant’anni fa per comprendere che quello che potrebbe sorgere a Calais, in Francia, è il simbolo di un incubo che sembra di nuovo dietro l’angolo.
Calais è una cittadina portuale del nord della Francia, meta di numerosi migranti provenienti soprattutto dall’Africa orientale, dal Medio Oriente e dall’Afghanistan, che da qui tentano di giungere in Inghilterra attraverso il Tunnel della Manica.
Chi vuole giungere nel Regno Unito è disposto a rinunciare a tutto ciò che possiede e a pagare dalle mille alle quattromila sterline alle bande che si occupano di fargli superare la frontiera.
La Jungle – così è stata ribattezzata l’area occupata dai migranti – dallo scorso aprile a oggi ha visto l’arrivo di circa seimila persone, che in questo periodo hanno cercato di allestire tende e baraccopoli per ripararsi dalle intemperie e dal freddo che nelle ultime settimane si è fatto più rigido, scendendo ai 5° durante la notte.calais
Il sindaco di Calais, nonostante a guardia del campo ci siano già 750 agenti di polizia, recentemente ha richiesto l’aiuto dell’esercito francese per mantenere la sicurezza, creando un clima di militarizzazione e intimidazione: dallo scorso giugno circa sedici migranti sono già stati uccisi nei pressi del tunnel mentre tentavano di valicare il confine.
Ma per mantenere la Jungle in “sicurezza”, non di certo quella dei migranti, ci sarebbe in cantiere un progetto per la costruzione di un vero e proprio campo di concentramento attraverso l’assemblaggio di container commerciali nei quali far alloggiare le persone, il tutto circondato da inquietanti mura che isolerebbero dall’esterno, a rimarcare diseguaglianza e intolleranza.calais campo concentramento Si tratterebbe di un campo composto da 74 container allineati in meno di tre metri di larghezza senza alcun collegamento all’acqua, mentre adesso l’organizzazione della Jungle offre la possibilità di un accesso alle docce e un pasto giornaliero che viene servito alle 17, il che comunque non può essere considerata una condizione accettabile di vita.
La Jungle però al momento rappresenta un luogo di rifugio per chi riesce a fuggire da conflitti, condizioni di dittatura e oppressione, come nel caso di Mima, 29 anni, proveniente da Addisa Ababa, capitale etiope.
Quella di Mima è una delle tante storie di resistenza, discriminazione e oppressione.
Una volta conseguita la laurea in informatica, le autorità locali hanno chiesto a Mima di lavorare per la stazione radio del governo, ma lui si è rifiutato, volendo invece lavorare per la stampa libera. Gli è stato tolto il diploma, e così ha perso il suo accreditamento ufficiale per la stampa. Grazie a un amico nel 2012 ha trovato lavoro alla rivista Liya.
Successivamente il leader del Nuovo Partito di Posizione, che stava iniziando a ottenere supporto principalmente tra i giovani gli ha chiesto di lavorare per loro; da quel momento Mima ha ricevuto più volte dal governo etiope minacce di galera che sono divenute realtà quando da lì a poco è stato incarcerato con l’accusa di incitare alla ribellione, alla violenza e all’attività terroristica, attraverso gli articoli che scriveva.mima
In prigione Mima ha contratto una grave forma di polmonite. Per ordine del dottore è stato trasferito in un ospedale esterno al centro di detenzione affinché potesse ricevere le cure necessarie.
Grazie a un momento di distrazione delle guardie che lo avevano in custodia, una notte Mima ha rotto il vetro della stanza ed è riuscito a scappare, e dopo aver oltrepassato il confine del Sudan, aver viaggiato da Benghazi alla Libia, fino a Tripoli, in fine è giunto a Calais, traghettato su una scialuppa di salvataggio insieme ad altre centoventi persone, alla “modica” cifra di mille sterline.

Questa è solo una delle migliaia di storie riguardanti altrettante persone che a causa di guerre, ragioni politiche, regimi oppressivi, sono state costrette a rinunciare alla vita che si erano costruiti, alla casa, spesso alla stessa famiglia, per rincorrere una realtà che possa garantire loro una condizione di libertà che dovrebbe essere diritto di ogni essere vivente.
I confini, che la Terra per natura non avrebbe, ma che sono stati istituiti da persone, governi e istituzioni per delimitare i domini, sono i simboli di quei virus chiamati diseguaglianza e intolleranza di cui la società è affetta.

No borders, No nations: siamo tutti abitanti dello stesso Pianeta e in quanto tali dobbiamo fare quanto è in nostro potere affinché la libertà possa essere garantita a tutt*, senza distinzione di etnia, genere o specie perché #siamotuttiterrestri.siamo tutti terrestri striscione Un concetto che è alla base di quel processo di liberazione animale, umana, della Terra che non deve più trascurare nessun*, una congiunzione delle lotte che conduca a un mondo reso libero da barriere fisiche e mentali, confini, gabbie grandi e piccole, discriminazioni, sfruttamento e oppressioni.

Segnaliamo che sabato 24 ottobre, presso la stazione Eurostar di ST. Pancras, si terrà una protesta in solidarietà ai migranti rifugiati a Calais.solidarietà a calais

Fonti: Liberation – The Guardian – RT