Voci da sempre spezzate ora si uniscono e si levano in protesta

proteste fuori i più famosi fast food newyorchesi

La scorsa settimana i lavoratori newyorchesi delle principali catene di fast food (McDonald’s, Burger King, Wendy’s, KFC, Taco Bell, Pizza Hut e Domino’s), presenti ormai in gran parte del Mondo globalizzando la ristorazione locale, sono scesi in piazza per evidenziare le condizioni di lavoro alle quali sono costretti, chiedendo maggiori garanzie per il proprio futuro.
Un avvenimento che non ha precedenti; le politiche di lavoro messe in pratica da queste multinazionali della ristorazione son ben note e puntano proprio ad evitare che i propri dipendenti abbiano la possibilità di organizzarsi in sindacati, inscenare proteste, lottare per ottenere migliori condizioni lavorative.
I lavoratori di questi fast food, McDonald’s ad esempio, vengono assunti per brevi periodi con una paga che al momento si aggira sugli 8 dollari l’ora (pochi per lo standard di vita di un americano medio), il ricambio del personale è molto frequente, i ritmi di lavoro voluti da queste aziende sono frenetici (causa principale di infortuni), in modo che i profitti siano sempre elevati.
Alcuni ex dipendenti hanno raccontato di come queste multinazionali obblighino i propri lavoratori  a consumare in pausa pranzo i prodotti da esse commercializzati, impedendo loro di portarsi il pasto da casa, non curandosi quindi di possibili intolleranze o allergie a cui queste persone potrebbero essere soggette e costringendoli a mangiare cibo davvero poco salutare più volte durante la settimana.
Un’altra testimonianza importante riguarda sempre il cibo: tutti quei prodotti non utilizzati e invenduti, invece di essere donati e ridistribuiti a chi ne ha bisogno, vengono gettati andando così ad incrementare ulteriormente il problema della fame nel mondo.
Queste grandi catene di fast food impiegano ogni giorno immensi quantitativi di risorse (cereali e acqua) negli allevamenti intensivi per la produzione industriale di carne, risorse di cui vengono private le popolazioni più bisognose che con esse potrebbero invece sfamarsi.
Una panoramica sui tanti crimini di queste aziende era d’obbligo per ricordarci di chi stiamo parlando. Fa dunque ben sperare, o almeno esultare brevemente, la notizia dello sciopero di questi lavoratori.

Spesso quando ci troviamo ad organizzare iniziative di protesta contro le multinazionali della ristorazione veniamo accusati di non preoccuparci dei lavoratori, ci viene detto che noi, col nostro operato, puntiamo alla chiusura di questi posti che loro malgrado danno lavoro a parecchie persone.
Ma di che tipo di lavoro stiamo parlando? Sottopagati, sfruttati, usati per qualche mese e poi sostituiti da qualcun altro… questo non è lavoro, non è speranza di vita, non sono certezze per un futuro, non è stabilità.

La lotta dei lavoratori newyorchesi dovrebbe unirsi a quelle degli altri movimenti, non per ottenere una paga maggiore, ma per far chiudere aziende che con il loro operato danneggiano chi ci lavora,  chi vi consuma e il Pianeta in generale.

Per spiegare ciò appena detto, chiudiamo lasciandovi con una domanda che speriamo possa dar vita ad una riflessione: invece  che domandarci quante persone perderebbero il lavoro se queste aziende chiudessero, chiediamoci quanti piccoli commercianti, imprenditori, ristoratori, agricoltori, sono falliti grazie all’avvento delle multinazionali della globalizzazione.
Serve un ritorno al passato… valorizzare il “piccolo” è più sostenibile per tutto il Pianeta.