Biocarburanti, deforestazione e fame nel mondo

Il mercato dell’olio di palma non rifornisce solo il settore alimentare e quello dei prodotti per l’igiene personale e la cura della casa.
Questa sostanza infatti viene impiegata anche per la produzione dei cosiddetti biocarburanti, un settore che in questi ultimi anni ha visto un’enorme crescita in quella corsa alla realizzazione di carburanti “verdi”, sui quali però vanno fatte molte precisazioni.
Innanzitutto bisogna partire dal presupposto che l’olio di palma, insieme a quello di mais, girasole, colza e soia non rientra nei parametri di sostenibilità stabiliti dalla RED (Renewable Energy Directive) affinché una sostanza possa essere utilizzata come biocarburante, ovvero la sua produzione genera un impatto ambientale maggiore rispetto al suo utilizzo.
Questo dato però non ha impedito a numerose compagnie di incrementare la produzione di olio di palma da utilizzare nel settore dei biodiesel, alimentando il fenomeno della deforestazione soprattutto in Indonesia, Malesia e Camerun.
Un fenomeno della deforestazione che, come in un domino, va a incrementare il problema della fame del mondo, in quanto le monocolture funzionali alla produzione di biocarburanti stanno convertendo terreni agricoli un tempo destinati al sostentamento dei popoli.
Un recente studio condotto dal Politecnico di Milano e pubblicato su Scientific Reports ha evidenziato che solo nel 2013 il 4% delle terre agricole e il 3% dell’acqua dolce del Pianeta sono stati utilizzati per la produzione di biocarburanti, un quantitativo di risorse sufficiente a sfamare 280 milioni di persone se impiegate nell’agricoltura a scopo alimentare.biocarburanti
In base ai dati, nel 2013 sono stati bruciati 65 milioni di tonnellate di bioetanolo e 21 milioni di tonnellate di biodisel a livello globale, che per essere prodotti hanno visto l’impiego di 41,3 milioni di ettari di terreni agricoli e 216 miliardi di metri cubici d’acqua.
Un mercato che raddoppia il problema della deforestazione, perché i terreni agricoli convertiti in monocolture di palme da olio, soia, mais, canne da zucchero etc. per essere recuperati segneranno il disboscamento di altre aree della Terra.
Le colture sulle quali le multinazionali hanno puntato e che stanno provocando i danni appena descritti sono quelle di canna da zucchero, mais e grano dalle quali di produce il bioetanolo, mentre dalla palma da olio, dalla soia e dalla colza si ottengono i biodiesel.
L’Italia da qualche anno riveste un ruolo importante in questo mercato da quando Eni ha annunciato la sua personale svolta green, un furto di termini proprio da parte di quelle multinazionali che hanno dato il via a quell’opera di greenwashing (pulizia “verde” dell’immagine) volta a offrire un’idea di sostenibilità al consumatore, ma priva di ogni reale impegno a tal proposito.

Marghera, 29 marzo 2014, manifestazione contro il mercato dell'olio di palma.

Marghera, 29 marzo 2014, manifestazione contro il mercato dell’olio di palma.

Nel 2014 Eni ha iniziato l’importazione di olio di palma dall’Indonesia per bruciarlo nel suo stabilimento a Porto Marghera, come Earth Riot, insieme ad altre realtà antispeciste, ha denunciato il 29 marzo di quello stesso anno, recandosi sul posto nel tentativo di sensibilizzare la popolazione locale sull’argomento.

L’impianto Eni di Marghera è tutt’ora in funzione e, anche grazie all’accordo siglato con l’azienda partner Elevance Renewable Science Inc., nel 2015 ha raggiunto la capienza di 500.000 tonnellate annue di olio di palma lavorato, che per l’ambiente significa 180.000 ettari di terreno perduti e circa 1.200 orango e altri animali privati della loro casa.
Lo scorso 3 marzo, a causa di una perdita di olio di palma, è scoppiato un incendio nello stabilimento di Marghera, a conferma anche della pericolosità di questi impianti, come già evidenziato dal precedente di Acerra.
In questa località del napoletano si trova infatti la seconda centrale termoelettrica a olio vegetale d’Europa, nella quale viene bruciato olio di palma e che inoltre è stata realizzata accanto a un mega-inceneritore, aumentando il rischio ambientale e sanitario dell’intera zona.
I cittadini di Acerra sono costretti a respirare aria malsana nella quale erano state rilevate anche tracce di PCB, una sostanza più tossica della diossina; la centrale termoelettrica ha provocato l’inquinamento di numerose falde acquifere determinando la morte di molti terreni circostanti, in una zona dell’Italia già sufficientemente inquinata.
Sul territorio italiano sono presenti diversi stabilimenti a biomassa, ma in pochi riportano con chiarezza l’impiego di olio di palma, camuffando il suo utilizzo dietro al termine “oli vegetali”.
Abbiamo però potuto individuare almeno altri due stabilimenti nei quali viene o verrà bruciato olio di palma: il primo si trova a Guarcino, realizzato dal Gruppo Finanziario Valentini e operativo dal luglio 2010, nonostante nel 2008 il TAR del Lazio avesse bloccato il progetto. Il secondo, in fase di realizzazione, dovrebbe sorgere a Gorizia, un progetto condotto dalla multinazionale finlandese Wartsila, che si occuperà anche di rifornire l’impianto dell’olio di palma necessario.
Deforestazione, morte animale e oppressione dei popoli, incremento del problema della fame nel mondo, inquinamento e rischio per la salute delle persone che abitano le zone dove sorgono gli stabilimenti che bruciano olio di palma, il tutto affinché le multinazionali di
turno possano garantire i propri guadagni speculando sull’integrità della Terra, grazie a quella biotruffa che non riguarda solo il settore alimentare.

Fonti: ANSA Nuova VeneziaIl Piccolo