Benessere animale: l’illusione dei piccoli passi

Benessere animale“, ovvero l’illusione di un cambiamento che, in realtà, stenta ad arrivare anche grazie all’opera di diverse associazioni animaliste che accolgono e sostengono espressioni edulcorate di sfruttamento animale chiamate “allevamento etico”. Ambienti dove con il termine “etico”, come recentemente denunciato anche da Bioviolenza, si intende la possibilità per gli “animali da reddito” di razzolare per qualche ora al giorno all’aperto, nell’attesa che giunga il momento del loro sacrificio.
Una tendenza che negli Stati Uniti si sta facendo largo già da diverso tempo, come nel caso del Massachusetts, dove dal 2022, quindi tra sei anni, sarà vietato allevare galline in gabbia, tenere i vitelli nei piccoli box, utilizzare le gabbie di contenimento per i maiali e vendere i prodotti commercializzati dalle aziende che utilizzano questi sistemi di allevamento.
Questo però non significa che dal 2022 non verranno più uccisi animali da reddito in questo stato, ma solo che il regime di schiavitù al quale sono costretti sarà meno evidente, un risultato ottenuto tramite referendum che potrà anche apparire come un cambiamento verso un maggiore rispetto nei confronti degli animali, ma che in realtà conduce ugualmente al sacrificio degli stessi per ragioni di lucro e di gola.
Un risultato che da molti, associazioni e singoli, è stato accolto come un passo in avanti verso la liberazione animale, ma che di fatto lascia inalterate le sorti degli schiavi dell’industria della carne e dei derivati, lavando la coscienza di chi pensa che il cambiamento possa essere ottenuto attraverso l’approvazione di leggi da parte di organi che fanno parte di quello stesso sistema di dominio basato sullo sfruttamento altrui, e strizzando così l’occhio a quel fenomeno chiamato, appunto, “benessere animale”, diffuso ormai anche in Europa.
Un atteggiamento di questo tipo va incontro alle esigenze dell’oppressore e non dell’oppresso, di chi costruisce le proprie fortune sullo sfruttamento animale a cui viene offerto terreno fertile sul quale lavorare, potendo così anche vantare un’inesistente sostenibilità e preoccupazione verso le sorti di ciò che per l’industria della carne rappresenta solo una fonte di guadagno, e non una vita da rispettare.
Una preoccupante parabola discendente figlia di quella politica dei “piccoli passi” a causa della quale le “vittorie” sono rappresentate dai reparti vegan all’interno dei supermercati, da surrogati vegetali che ricordano anche troppo bene i prodotti di origine animale e da un
attivismo condotto a compartimenti stagni che ormai non rispecchia più le istante antispeciste, anche se chi lo conduce continua a definirsi tale.
Non sono le definizioni che contano, ma i valori che contraddistinguono la lotta per la liberazione animale, umana, della Terra invece si, ed è quanto mai necessario distinguere tra chi vuole combattere il sistema capitalista e consumista, e chi invece accetta di continuare a farne parte, accontentandosi delle concezioni rilasciate dall’industria, accogliendo come vittorie quelle che invece sono illusioni volte a spegnere la lotta stessa.

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