Freddato da alcuni colpi di pistola tre giorni prima di una votazione decisiva.
Decine di manifestazioni e cortei hanno attraversato le strade di numerose città messicane venerdì 22 febbraio, a due giorni dall’assassinio di Samir Flores Soberanes: attivista ambientalista e produttore radiofonico per la comunità di Morelos.
Samir, 30 anni, è stato ucciso mercoledì 20 febbraio dopo reiterate minacce di morte ricevute dal 2012 sino al giorno dell’esecuzione, avvenuta a seguito della sua ferma opposizione al PIM: Proyecto Integral Morelos.
Il progetto estrattivo, in monopolio alla società elettrica nazionale del Messico, prevede la realizzazione di due centrali termoelettriche alimentate a loro volta dalla costruzione di un gasdotto funzionale a veicolare lo shell-gas dallo stato di Tlaxcala a quello di Morelos.
Un’infrastruttura che nel suo insieme andrebbe a minacciare l’approvvigionamento idrico di campesinos e delle comunità indigene che circondano il vulcano Popocatepetl.
Oltre a puntare il riflettore sull’assassinio di Samir, le proteste dello scorso venerdì hanno rappresentato un’ulteriore occasione per le comunità mobilitate di prendere definitivamente le distanze dalle consulte, che da li a poche ore, si sarebbero svolte negli stati di Morelos, Puebla e Tlaxcala.
Summit finalizzati all’approvazione dei vari progetti estrattivi per i quali non esistono documentazioni accessibili.
L’uccisione di Samir rientra in quell’infinito elenco di esecuzioni che solo nel 2017 ha registrato la morte di 4 attivist* ogni settimana, tra ambientalisti, difensori della Terra, persone che si oppongono al saccheggio della stessa e alla conseguenze persecuzione di chi la popola.
Uccisioni sistematiche che vedono una concentrazione proprio nell’America Latina, dove gli squadroni della morte rappresentano uno strumento repressivo abitualmente impiegato dalle multinazionali e la complicità degli stati fomenta omertà e insabbiamenti.
RS
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Fonti: lamericalatina – independent