Olio di palma: ecocidio in Guatemala

La storia del mercato dell’olio di palma è scandita da molte costanti, tra le quali le violazioni dei diritti umani, che si tratti di tribù indigene incontattate, o di popoli espropriati, cacciati dalle terre abitate da sempre, o schiavizzati nelle monocolture sorte al loro posto.
A circa un anno di distanza dallo sversamento di olio di palma tossico nel fiume Pasiòn, in Guatemala, le compagnie palmi-cultrici hanno ammesso l’ecocidio che si è consumato ai danni di quelle terre.guatemala pasion
Un’ammissione, però, figlia delle pressioni ricevute dalle comunità locali che chiedono giustizia in merito al danno ambientale subito, e per l’assassinio di Rigoberto Lima Choc, ucciso nel settembre del 2015, dopo che aveva denunciato l’accaduto.
La REPSA, multinazionale responsabile dell’ecocidio, a seguito di questi fatti ha pubblicato un manuale sulle politiche di non-violenza e intimidazioni, indossando così i panni dell’apparenza, funzionali a salvare l’immagine, ma che non cambiano la realtà dei fatti.
Un manuale che è stato appoggiato anche da una tra le più grandi acquirenti di olio di palma in Guatemala, la multinazionale statunitense Cargill, tra le Big-six dell’agro-chimica.
Il fatto che ci sia voluto quasi un anno da parte di REPSA per riconoscere i danni inflitti al paese, è l’emblema della totale mancanza di rispetto nei confronti dei popoli che subiscono la colonizzazione diffusa dalle multinazionali.
I gruppi locali che si sono formati in Guatemala non chiedono maggiori forme di tutela nei loro confronti da parte di REPSA, ma che questa azienda cessi immediatamente le operazioni e si ritiri dalla regione.
La realtà del mercato dell’olio di palma è ormai nota, non esiste alcuna tutela dei diritti umani, e lo sfruttamento del lavoro minorile è una pratica usuale, sopratutto nei paesi da cui proviene l’85% della produzione mondiale di questa sostanza: Indonesia e Malesia.indonesia lavoro minorile
La diffusione di monocolture di palme da olio spesso viene spacciata come un’opportunità lavorativa per quelle zone rurali a basso reddito, anche per le stesse comunità indigene.
Ma in realtà le multinazionali, spesso appoggiate dai governi locali, hanno il pieno controllo economico delle terre colonizzate, e la libertà di perseguire con atti violenti e intimidatori quelle comunità che tentano di opporsi al loro operato.
In un clima di questo tipo, e a seguito della distruzione sistematica delle terre dalle quali dipendevano, le popolazioni colpite si vedono costrette a dipendere dalle multinazionali palmicultrici divenendo loro schiavi, e finendo a lavorare nelle monocolture intensive che ora occupano quella che un tempo era la loro casa.

Fonte: Humanosphere