Veganismo: una lotta radicale… fuori dai supermercati

Il concetto stesso di liberazione animale, umana, della Terra, proprio del veganismo in quanto parte integrante e punto di partenza imprescindibile verso un percorso antispecista, risulta inapplicabile e quanto mai vano se chi lo porta avanti asseconda e rimane schiavo a sua volta del sistema capitalista e consumista: espressioni rappresentative della visione antropocentrica della società che pone l’animale umano come specie dominante sul pianeta e su chi lo abita.
La liberazione totale, per essere auspicabile, reale e solida, è un percorso che va fatto innanzi tutto su se stessi, un auto miglioramento giornaliero verso una sempre più spiccata sostenibilità e rispetto nei confronti dell’organismo che ci ospita, la Terra, e di chi la abita insieme a noi e non per essere al servizio dell’operato umano.
Il veganismo è un atto politico che nasce e si pone come critica radicale e opposizione pratica a quelle dinamiche di dominio e prevaricazione ambientale, animale, sociale proprie del sistema specista, espresse attraverso crimini che troppo spesso vengono normalizzati e percepiti come inevitabili ai fini dell’esistenza stessa.
L’industria e la grande distribuzione organizzata sono due espressioni del sistema specista dal quale il veganismo dovrebbe prendere le distanze senza esitazione.
In questi ultimi anni, però, si sta sviluppando un fenomeno che presta il fianco alla costituzione di una nuova fascia di consumatori e consumatrici, appiattendo di fatto la lotta, svuotando il concetto di liberazione da ogni suo valore originale, omologando il veganismo all’interno di quello stesso sistema che dovrebbe combattere.veganshirt300-11x10-1024x931
L’obiettivo ultimo del concetto di liberazione si sta di fatto perdendo, soffocato e sostituito da un’innaturale preoccupazione verso la presunta assenza di scelte alimentari o, peggio ancora, la necessità di prodotti industriali vegan che permettano di incrementare in numero di persone che abbracciano questa scelta, senza però alcun senso critico.
Una scelta che, è doveroso rammentare, deve essere animata da ragioni altruistiche e non dettata da ciò che offre (vomita) il mercato intento ad arrestare una fuga dei consumatori, un fenomeno quest’ultimo che il veganismo, e chi si professa tale, dovrebbe alimentare e non sabotare.
E invece capita spesso di assistere a vegani e vegane che offrono un servizio di pubblicità gratuita a quei marchi che, fiutando l’affare, sviluppano e commercializzano linee di prodotti vegan, scattando selfie euforici, ineggiando ad una sterile, quanto inconsistente vittoria che si traduce in un pasto industriale che di fatto non cambia nulla ai fini della lotta.
Questo fenomeno si allinea ad un altro aspetto proprio della mercificazione che il veganismo sta subendo, forse ancor più preoccupante, ovvero un processo di rassicurazione espresso da parte di chi è già vegan da qualche anno, e tenta di convincere altre persone a diventarlo.
Intanto il veganismo, come del resto l’antispecismo, non deve giungere attraverso opere di convincimento o, peggio ancora, imposizioni, ma tramite un risveglio naturale delle coscienze, un processo che non potrà di certo avvenire se le ragioni di questa scelta sono funzionali a quanti prodotti il mercato offre.
Di fatto il reparto vegan al supermercato c’è sempre stato, frutta, verdura, cereali e legumi esistono da sempre, e questa preoccupazione diffusa ne confronti della necessità di avere prodotti industriali che riportino il termine vegan sulla confezione, quasi alla ricerca spasmodica di un riconoscimento da parte del mercato, distoglie l’attenzione da quello che dovrebbe essere il fine ultimo di una scelta che non è una moda, non è una dieta, non è la scelta alimentare del venerdì, ma una lotta verso la liberazione totale.
Liberazione totale che rimane un concetto utopistico se le stesse persone che dovrebbero condurlo assecondano, promuovono e si inchinano a quello stesso sistema che andrebbe combattuto, finanziando molto spesso aziende che fanno dello sfruttamento animale il loro principale business, ma che parallelamente commercializzano linee di prodotti vegan al preciso scopo di assicurarsi ogni tipologia di consumatore: Granarolo, Beretta, McDonald’s, ChefExpress ecc.
L’obiettivo non può e non deve essere “banalmente” quello di veganizzare più persone possibili, sopratutto se il tutto viene dispensato senza alcun senso critico e visione d’insieme, ma diffondere e trasmettere quei valori di liberazione che permettano di rapportarsi diversamente con l’ambiente che ci circonda, consci che ciò che si sta facendo e rivolto ad un bene ben superiore del proprio: un processo che mette nelle mani di ognuno/a di noi la libertà di tutti/e.
Un concetto che dovrebbe essere dettato dal buon senso, senza la necessità di scomodare filosofi o psicologi, perché ciò che conta è sviluppare un proprio pensiero critico che porti giorno dopo giorno a diventare l’esempio di se stessi, in quel percorso di miglioramento quotidiano che possa contribuire sempre di più alla liberazione animale, umana, della Terra.