FreeHambi4: solidarietà da un ex detenuto

Kapo, nel gergo un tempo utilizzato nell’ambito dei campi di concentramento, definisce un prigioniero del regime nazista al quale veniva affidato il comando sugli altri deportati.
Attraverso violenze, promesse di cibo e maggiore libertà, ancora oggi i carcerieri tedeschi brutalizzano i detenuti istigandoli contro i loro compagni di cella per poter estorcere informazioni.
I compagni di cella assegnati dalle guardie, quelli che fanno più sforzi per affinare conoscenze ed entrare in simpatia spartendo questioni politiche e sociali, spesso sono prigionieri succubi dei carcerieri stessi.
Jus (di cui avevamo già scritto nel settembre del 2015 ai tempi del suo arresto) con una nuova lettera riporta la sua personale esperienza in solidarietà ai/alle 4 di Hambach in carcere dal 22 gennaio scorso per aver difeso la foresta, e dove rischiano di rimanere almeno per altri tre mesi.
Rinchiuso per tre mesi a Colonia nella prigione di Ossendorf, dove oggi sono detenuti gli/le Hambi4, Jus condusse uno sciopero della fame lungo 23 giorni, pratica di protesta iniziata anche dagli/dalle attuali prigionieri, contro ogni espressione di dominio ambientale e sociale.

Il 3 ° giorno della mia detenzione nella prigione di Ossendorf sono stato trasferito in una nuova cella ancora in elaborazione nel Blocco 1, dove i prigionieri sono detenuti fino a due settimane prima di essere trasferiti in “popolazione generale”.
In quella cella c’era sempre un detenuto.
Parlava la mia lingua non tedesca, al tempo in cui ero particolarmente alieno linguisticamente, e sembrava anche avere esperienza e affetto per le grandi manifestazioni anti-globaliste europee.
È stata una sorpresa piacevole anche se cauta.
Abbiamo condiviso esperienze di proteste, lotte e occupazioni che questa persona ha rapidamente seguito con elenchi di capitoli europei seguiti da domande sul fatto che conoscessi qualcuno lì, che coprisse l’intera Europa occidentale e meridionale.
Ok a quel punto ho pensato che potesse essere semplicemente stupido, in quanto è ampiamente noto che la maggior parte delle celle di prigione sono probabilmente tenute sotto controllo, questo però crea un problema ai poliziotti in quanto possono agire segretamente su tali informazioni e includerle nei loro file, ma non ammetterli o usarli in tribunale come prove.
Diventai molto, molto più cauto mentre la cella si restringeva leggermente.
Le domande sono state seguite da un altro rapporto stilato su di lui.
Essendo più cauto questa volta c’era qualcosa che ho riconosciuto in questa storia “ah siamo tutti insieme in questa” da altre persone dirompenti e sospettose che ho incontrato nel movimento, la storia era piena di cinismo e persino ridicola, priva di qualsiasi politica, profondità o dimensione sociale o ecologica, era un aneddoto e uno scherzo.
In qualche modo era ovvio che il prossimo turno di domande stava arrivando.
Prima che il mio compagno di cella procedesse a fare flessioni, poi si tolse la maglietta portando il suo fisico ben tagliato di fronte a me mentre sollevava una sedia chiese: “quindi hai qualche fondo per la tua difesa?”
Era questa domanda, la sua formulazione precisa e il fatto che in casi politici e di alto profilo non sono i poliziotti segreti ma le persone che assumono e girano, i cosiddetti “informatori criminali” che spesso incriminano gli altri, molto spesso i loro compagni di cella e persino i loro compagni, è stata questa conoscenza che ha ridotto ulteriormente questa piccola cella e stava per peggiorare.
Oltre a rifiutare il cibo, l’unica forma simbolica e semplice di resistenza che potevo offrire in quella situazione era suonare la campana che allerta le guardie della prigione alla molteplicità di problemi a cui l’attuale compagno di cella era solo una distrazione.
Dopo aver premuto il campanello un’altra volta il mio compagno di cella si è avvicinato a me, ancora a petto nudo, ha stretto il pugno in una posa di body building gonfiato sul petto e ha detto “Se non lo fermi, rompo qualcosa!” disse con una faccia pieno di odio.
“Che cosa hai intenzione di rompere?” Fu una risposta che vidi gli dava un certo dilemma e che non voleva rendere questa minaccia più precisa.
Si guardò intorno e indicò una finestra di vetro aperta che si apriva verso l’interno con le sbarre all’esterno, mi spostai dall’angolo della porta e del bagno, lo oltrepassai e aprii la finestra più larga mentre sbirciavo fuori attraverso le sbarre nello spazio aperto del cortile e il suo cancello che portava fuori, e in quel preciso momento non potevo credere, visto che i miei anni di solidarietà attiva alla difesa della foresta di Hambach erano appena iniziati, di poter scorgere e udire fuori cori di solidarietà e vicinanza.
Il mio compagno di cella è andato dritto dalla finestra accompagnato dal mio urlo che non poteva essere distinto tra i cori solidali di cui potevo riconoscere le voci individuali. Le guardie però mi sentirono gettandomi in isolamento.
Prendetevi cura di voi, sopratutto voi che siete dentro ora, non siete mai veramente soli!

Un report e una riflessione che inquadra il meccanismo repressivo che, dalle corporazioni, si estende agli strumenti e strutture di reclusione che tentano di soffocare la resistenza.

VM

Fonte: Hambibleibt