La Basilicata nella morsa del fracking

Il fracking non è più una drammatica esclusiva di paesi come Stati Uniti, Romania e Gran Bretagna, dove questa tecnica estrattiva imperversa ormai da tempo grazie a multinazionali come Chevron e Total.
La tecnica di fratturazione idraulica che prevede la trivellazione orizzontale dei terreni attraverso l’impiego di tonnellate di litri d’acqua, mischiate a sabbia e additivi chimici che, ad altissima pressione, vengono iniettate nel sottosuolo per provocare crepe nella roccia in maniera da permettere l’estrazione di gas di scisto, è una realtà che ormai ha colpito anche i territori italiani.

La regione italiana ad essere maggiormente violentata dal fracking al momento è la Basilicata, tra le più sfruttate a livello estrattivo da multinazionali nostrane come Eni e Agip, ma anche da Total e Shell. Non pensate tuttavia che il problema sia circoscritto all’interno dei confini di questa regione.

La Val d’Agri è una delle terre a pagare le conseguenze maggiori derivanti dalle opere condotte dalle aziende appena citate. Un dossier consegnato di recente al Parlamento Europeo riporta di un livello di inquinamento ormai irreversibile: falde acquifere e bacini idrici inquinati, agricoltura e turismo distrutti, aumento del rischio sismico e molto altro.
Ancora una volta però si è giunti in ritardo, perché a destare scalpore e allarmismo non dovrebbe essere un dossier consegnato a istituzioni ammanicate con le stesse multinazionali, ma la denuncia di ormai lunga data sollevata dalla popolazione locale.
Denunce come quella lanciata dalla professoressa Colella, dopo le indagini effettuate sulle acque lucane e sul rischio di inquinamento derivante dalle estrazioni petrolifere, professoressa che a sua volta è stata denunciata da Eni per aver sollevato questo “clima di allarmismo”.
La stessa Eni si è anche rivolta in maniera generale ai lucani tutti definendoli estremisti, anti progresso, pecorai, solo per aver sollevato preoccupazioni sullo stato ambientale del territorio in cui vivono ogni giorno.

Il lago del Pertusillo, che fornisce acqua non solo alla Basilicata ma anche alla Puglia, è il bacino idrico a far registrare la situazione maggiormente allarmante: metalli idrocarburi, fitofarmaci e diossine sono stare rilevate nei suoi sedimenti.
Questo sarebbe all’origine di un’ennesima moria di pesci avvenuta lo scorso 5 marzo. Un evento non isolato.

Già nel dicembre del 2012, infatti, nel lago del Pertusillo furono rinvenute diverse carcasse di pesci la cui morte, ai tempi inspiegabile, scatenò una prima ondata di allarmismo e di conseguenti indagini, che evidentemente non offrirono il risultato desiderato.

Ora sappiamo che a scatenare questi fenomeni non è altro che una sempre crescente violenza perpetuata ai danni di un territorio logorato dalle estrazioni petrolifere, dagli scarichi abusivi e dal sopraggiungere di nuove tecniche invasive come il fracking.
Bacini idrici inquinati, terreni avvelenati forse per l’eternità, biodiversità vegetale e animale a rischio della sopravvivenza, esattamente come è a rischio la salute di tutte le persone che abitano la Basilicata e la Puglia in maniera diretta. Ma indirettamente siamo tutti coinvolti: quali garanzie ci sono che non stiano circolando prodotti ortofrutticoli contaminati provenienti da quelle terre esattamente come già accaduto nel caso della Terra dei Fuochi?
Ulteriore aspetto da non sottovalutare è il possibile, crescente rischio sismico, fattore direttamente collegato alla tecnica del fracking come è stato già constatato in Oklahoma, dove a causa della fratturazione idraulica del suolo le scosse registrate sono raddoppiate.

Urgono quindi risposte e provvedimenti immediati che non possono passare attraverso il dialogo con le stesse multinazionali che stanno causando questi disastri né appellandosi a istituzioni troppo spesso rivelatesi inefficaci o, peggio ancora, di parte, quella sbagliata.
Le terre della Basilicata, come quelle di molte altre zone del globo violentate dalle estrazioni di petrolio, carbone e gas, sono logore; il solo modo per opporsi alla sempre crescente devastazione del territorio è quello di esporsi in prima persona, facendo valere la propria volontà, unendosi nella lotta con chi vuole preservare la salute dei territori e quindi di ogni singolo essere vivente, per un futuro libero dai soliti veleni.

Fonti:

di S. Strummer