Non è tutto vegan ciò che è di origine vegetale

Non è tutto vegan ciò che è di origine vegetale.
Un’affermazione e un concetto da interiorizzare e applicare a ogni scelta quotidiana, al fine di allargare gli orizzonti di lotta, restituendo al veganismo quell’aspetto di criticità radicale nei confronti del sistema che dovrebbe contraddistinguerlo.
L’olio di palma e i prodotti che contengono questa sostanza non sono vegan. Questo concetto ormai è stato assimilato, ma adesso deve essere allargato e integrato.
Il veganismo non è una dieta o una mera scelta alimentare. Per queste ragioni bisogna porre molta attenzione a ciò che si consuma, anche in relazione ai prodotti di origine vegetale, i cui cicli produttivi spesso rischiano di contribuire a fenomeni quali deforestazione, perdita di biodiversità vegetale e animale, alla conseguente morte di animali non umani e anche umani, considerando gli omicidi commessi dalle aziende colonizzatrici o dagli squadroni assoldati a tale scopo, oltre alle malattie causate dalle produzioni intensive (aria, terra e acqua contaminate dai pesticidi).
Quello che si cela dietro al mercato dell’olio di palma ormai è noto, ma ogni monocoltura intensiva porta con sé danni analoghi, come quello di soia per esempio, spesso geneticamente modificata e che per questo prevede un massiccio impiego di pesticidi, i quali ormai vengono impiegati su ogni tipo di coltura senza più alcuna distinzione tra tradizionale, bio o GM.
Il crescente impiego dei pesticidi rischia di renderci tutti/e schiavi, sgretolando ogni garanzia sul prodotto che si sta consumando che, anche se di origine vegetale, potrebbe essere stato contaminato da sostanze come il glifosato o brevettato da qualche multinazionale agro-chimica che sperimenta sugli animali non umani, come nel recente caso di Syngenta.
Questi sono tutti aspetti che non devono lasciare indifferenti, ma alzare l’attenzione e spingere verso una maggiore coerenza e rigorosità in merito alla scelta fatta, abbracciando pratiche come il consumo a chilometro zero, il rispetto della stagionalità, lo scambio e la tutela dei semi tradizionali.
La coltivazione di avocado, ad esempio, come segnalato da Agata Marvie, a Uruapan (Messico) causa ogni anno la perdita di 690 ettari di foresta.forest Uruapan
Secondo l’Istituto Nazionale per la ricerca agricola, forestale e del bestiame, a inquinare l’ambiente naturale sono circa 9.000 tonnellate di pesticidi e 30.000 tonnellate di fertilizzanti che stanno avvelenando le falde acquifere.
Secondo i dati INIFAP, risalenti al 2014, in Messico la coltivazione di avocado ha un ruolo molto significativo e sono stati osservati dei cambiamenti in tutti gli aspetti che hanno a che fare con l’attività produttiva di questa coltura, in quanto il contributo della produzione mondiale dal paese è pari al 37% e il valore della produzione è triplicata negli ultimi anni.
Allo stesso tempo, le esportazioni sono cresciute di oltre il 1000%, raggiungendo attualmente il valore di oltre 815 milioni di dollari all’anno, per non parlare del beneficio economico avuto con la creazione di posti di lavoro e servizi nelle diverse fasi del processo produttivo.
Tuttavia, la crescita della superficie coltivata è molto veloce ed è passata da circa 95 mila ettari nel 2000 a più di 135.000 attuali, una crescita che è stata pagata con la deforestazione e la riconversione dei suoli e un aumento esponenziale nel”uso di additivi, in particolare fertilizzanti e prodotti agro-chimici.
Si calcola che il Michoacan produca circa 193.000 tonnellate di frutti l’anno, di cui 519 mila tonnellate, nel ciclo appena concluso, vengono esportate verso gli Stati Uniti.
Nell’aprile 2016, altri 250 ettari di terreno sono andati perduti a causa dell’incendio scoppiato nella foresta di Cerro de La Cruz, estendendosi sino alla zona abitata dalla comunità indigena di San Juan Bautista. A causa della deforestazione illegale, già l’80% delle terre nell’area di Uruapan sono state colpite.
Essere vegan significa rifiutarsi di consumare e indossare prodotti di origine animale, oltre a quelli testati sugli animali non umani, ma, se davvero si vuole auspicare la liberazione animale, queste prese di posizione e di coscienza non sono sufficienti.
Il veganismo deve rappresentare quel trampolino di lancio verso la cultura antispecista, ovvero una pratica di miglioramento quotidiano che possa condurre verso la liberazione animale, umana, della Terra, perché nessuno/a è veramente libero/a se non siamo liberi/e
tutti/e.

Fonti: La Opinion – Cambio de Michoacan