Deforestazione e greenwashing: la malaria sulle nostre spalle

“Il consumismo che ti consuma”, uno slogan sempre più calzante che dovrebbe mettere in allerta ognuno di noi, perché quello che siamo abituati ad acquistare quotidianamente potrebbe essere la causa di malattie che stanno divampando grazie a quello che molti si ostinano ancora nel definire “progresso”.

Una nuova forma di malaria si sta diffondendo nel Sud-Est asiatico: l’agente patogeno si chiama Plasmodium knowlesi e nel 2013 ha causato solo in Malesia il 68% di ricoveri.
La causa scatenante del dilagare di questa nuova epidemia nel Borneo malesiano è una sola: un’inesorabile deforestazione provocata principalmente dal mercato di legna illegale e dell’olio di palma. La malaria Plasmodium knowlesi è stata a lungo endemica tra i macachi a coda lunga e corta della Malesia e dei paesi vicini.
Mentre nei primati provoca solo lievi sintomi, negli umani si è rivelato essere il parassita di malaria più veloce nella replica, con una riproduzione nel sangue ogni 24 ore.

La distruzione delle foreste che fungevano da quarantena per questo patogeno, la costruzione di strade e l’occupazione industriale di zone un tempo incontaminate hanno veicolato questo virus verso il genere umano, esattamente come era già accaduto per l’AIDS e per l’Ebola.

Questo tipo di malaria è risultata essere tre volte più grave rispetto al virus peggiore tra le malarie di origine umana; le persone vengono infettate dalle zanzare che in precedenza hanno morso i macachi, ma dalle quali è molto difficile difendersi in quanto pungono durante il giorno e principalmente in aree aperte.
La trasmissione del virus da umano a umano pareva essere improbabile, ma recentemente è stato registrato un caso di contagio in Vietnam, suggerendo che il contagio tra umani sia già avvenuto e confermando la teoria per cui il Plasmodium knowlesi possa adattarsi con facilità all’organismo umano.

Questa è appunto la preoccupazione espressa dal Dottor Balbir Singh dell’Università della Malesia nel Sarawak: dato che la deforestazione priva la “malaria delle scimmie” del suo normale ospite, questa si evolverà per diffondersi anche tra esseri umani.
La “malaria delle scimmie” è stata sempre considerata molto rara negli esseri umani, ma solo fino al 2004, quando migliori diagnosi hanno iniziato a riscontrarla nel Sud-Est asiatico. Caso vuole che proprio nello stesso anno un manipolo di multinazionali radunate dal WWF si sedevano a tavolino per creare una certificazione che potesse nascondere i crimini ambientali e sociali condotti dal mercato dell’olio di palma, quella tavola rotonda dell’insostenibilità che oggi conosciamo come RSPO.

Tutto questo ci riguarda molto da vicino. Si tratta di una questione di responsabilità sociale e dovremmo domandarci: che effetto hanno le nostre azioni quotidiane sulla salute di altri popoli e specie? E sull’integrità delle foreste che permettono la sopravvivenza su questo Pianeta?

Nell’estate del 2013 la Commissione Europea ha redatto un rapporto che attribuisce alla stessa Unione Europea il primato per la deforestazione esportata nel mondo, soprattutto da Africa, Sud-Est asiatico e Amazzonia. Un primato raggiunto grazie all’importazione di tre merci in particolare: carne e derivati animali, soia e olio di palma.

Ma qual’è il fattore che scatena questo processo di devastazione e colonizzazione di territori nelle zone citate? Il consumatore e le sue scelte più o meno consapevoli e responsabili, perché senza una domanda, nel tempo, scomparirà anche l’offerta. Può sembrare un processo complicato, lento, magari, di difficile realizzazione, ma non è così; semplicemente cessando il consumo delle merci citate si manda un segnale forte e chiaro al mercato globale.
Un mercato e un’industria che, altrimenti, continueranno nella direzione attuale: un falso progresso basato sullo sfruttamento di ogni risorsa di cui il Pianeta dispone, senza criterio, fino all’esaurimento.

Questi sono segnali che ci vengono dati ormai ogni giorno, spesso abilmente camuffati da progetti innovativi, soluzioni per salvare numerosi posti di lavoro o per crearne di nuovi.
Stiamo parlando ad esempio del progetto Eni di centrali per la produzione di falsi biocaburanti provenienti dalla combustione di olio di palma, sostanza che, ricordiamo, non è neanche stata valutata quale idonea dalla RED (Renewable Energy Directive) per essere impiegata a tale scopo.
Lo scorso 15 febbraio Eni ha fatto arrivare al porto di Marghera (Venezia) 22.000 tonnellate di olio di palma dall’Indonesia, per avviare una bioraffineria che al pieno del lavoro punta ad una capienza di 500.000 tonnellate della sostanza citata.
Un progetto in espansione che in questi giorni sta colpendo anche Gela, dove sta sorgendo un’altra bioraffineria Eni, che entro il 2017 raggiungerà il massimo della sua produzione di biodiesel ottenuti dalla combustione di olio di palma e, forse, anche di grassi animali, dato che anche questi vengono bruciati nella centrale di Maeghera.

Tutti progetti, questi, sbandierati come grandi innovazioni green, per la tutela dell’ambiente e la ricerca di fonti rinnovabili, belle parole che non trovano alcun riscontro perché basterebbe girarsi un attimo verso il Sud-Est asiatico per comprendere cosa sta accadendo in realtà.
Ma mentre Eni semina ecomostri lungo tutto lo stivale, in Irpinia è avvenuto qualcosa di straordinario: i comitati cittadini si sono mobilitati e insieme hanno ottenuto per il momento il blocco di una centrale a biomasse piuttosto ambigua. L’elettrodotto situato nei pressi di Sant’Angelo dei Lombardi, dove si brucia olio di palma per produrre energia, è stato messo sotto sequestro dopo le ripetute proteste dei cittadini.
Falsi permessi, deturpamento del paesaggio, emissioni elettromagnetiche e di fumi hanno condotto al blocco di questa centrale Terna, ambigua perché di proprietà della Ferrero che a poche centinaia di metri possiede un’altra fabbrica dove produce la famigerata Nutella, uno dei prodotti a contribuire maggiormente alla deforestazione in quanto contiene grandi quantità di olio di palma.buongiorno nutella, SUMATRA
L’augurio è che l’elettrodotto rimanga sotto sequestro e la speranza è che vengano presi provvedimenti anche per lo stabilimento Ferrero che produce Nutella.

Ma quello che vi proponiamo oggi con questo articolo ha uno scopo ben più diretto: virus liberati dalla deforestazione che avanza; distruzione di foreste e bacini di biodiversità per produrre carburanti verdi solo di nome; importazione di merci per la produzione di alimenti che hanno già consumato altre vite prima ancora di essere consumati a loro volta.
Be’, la soluzione a tutto questo c’è, è nelle mani di ognuno di noi e basta accorgersene, prenderne coscienza e mettere in atto il cambiamento!

Fonti sul caso della malaria:

Ringraziamo Smilax Aspera per averci segnalato il caso della malaria, invitiamo i nostri lettori a fare la stessa cosa: segnalateci problemi che magari ci sfuggono o di cui vorreste si parlasse.

 

 

One thought on “Deforestazione e greenwashing: la malaria sulle nostre spalle

  1. Anche nella Nutella? Ne ho mangiato un sacco da quando sono nato. Spero solo che sia stata inserita tra gli ingradienti solo da pochi anni! Stop all’oilo di Palma!!!Grazie, per l’informazione.

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