Giornata della memoria: quando passato e presente collidono

Oggi si apre la settimana della memoria, per non dimenticare l’Olocausto, ricordare ogni singola vittima di quegli anni di oppressione, discriminazione e violenza, per ricordare ogni persona che è stata partigiana e che si è schierata dalla parte opposta, sacrificando la propria vita per ideali di uguaglianza, democrazia e libertà, per la liberazione dal nazifascismo.

Gli orrori che avevano luogo nei campi di concentramento sono rimasti e devono rimanere nella memoria come esempio di quanto possa arrivare a compiere la natura umana, perché ciò che è accaduto durante quegli anni non si ripeta mai più, ci hanno sempre detto.
Nel mondo, da allora, sono cambiate molte cose: qualcuno dice che ci siamo “evoluti”, che il genere umano è progredito. Ma proprio questo progresso ha fatto sì che le oppressioni proseguissero e che al giorno d’oggi vi siano ancora persone dominate, sfruttate, usate e poi gettate via, considerate inferiori e quindi eventualmente sacrificabili, unicamente per il guadagno di chi specula sull’ambiente e sulla vita altrui.
I campi di concentramento così come li abbiamo studiati sui testi di storia non esistono più, ma questo non toglie il fatto che, ogni giorno, in qualche angolo del pianeta, si consumi uno sterminio ai danni di quelle popolazioni indigene spesso ritenute d’intralcio da corporazioni che vogliono venderci un falso progresso.
I regimi oppressivi finanziati, voluti e incoraggiati da queste multinazionali senza scrupoli, principalmente petrolifere, minerarie e agroalimentari, difficilmente giungono all’attenzione pubblica: a causa del loro operato, migliaia di persone scompaiono ogni anno senza che di loro rimanga traccia, alcun ricordo. Memorie cancellate dalla faccia della Terra, dalla storia dell’umanità. Intere popolazioni spazzate via all’insaputa di molti, grazie alla pecuniaria amicizia che regge tra queste multinazionali criminali e a gran parte dei governi e dei mass media internazionali, che fin troppo facilmente si vendono ai migliori sponsor.
Popoli indigeni la cui unica colpa è quella di abitare da sempre aree, foreste incontaminate, che fanno gola a queste aziende.
Terre, la cui sopravvivenza è strettamente legata a quella delle tribù che le abitano, che da millenni contribuiscono a preservare attraverso il loro stile di vita sostenibile e rispettoso delle risorse che la natura offre, tutti aspetti in maggioranza sconosciuti da quella parte del mondo civilizzato solo a parole.
Vogliamo ricordarne alcune in rappresentanza di tutti quei popoli che ogni giorno, ancora oggi, lottano contro chi, senza alcuno scrupolo, vuole impadronirsi della loro casa per un mero interesse economico.
Tribù indigene dell’Amazzonia come gli Awa, la più minacciata al mondo, che conta circa 300 membri ancora in vita, costantemente presi d’assedio da allevatori e taglialegna illegali; o gli Akuntsu, che oggi contano solo cinque membri, ma mentre scriviamo potrebbero essere rimasti addirittura in quattro o forse tre…
I Guaranì-Kaiowa, che hanno minacciato più volte il suicidio collettivo pur di non vedere le proprie terre sotto il dominio delle corporazioni che di tutta risposta periodicamente uccidono i loro leader, come accaduto a Ambrósio Vilhalva nel dicembre 2013.
Le tribù dei Penan e dei Dayak abitanti delle foreste del Borneo, che ogni giorno devono lottare per la salvaguardia della propria casa e della propria vita, minacciate dalle opere di deforestazione provocate dalle monoculture di palme da olio e dal traffico illegale di legna.
Il popolo degli Ogoni in Nigeria, il cui portavoce, Ken Saro-Wiwa, fu impiccato il 10 novembre del 1995 insieme ad altri otto membri, per essersi opposto ai regimi oppressivi condotti dalla Shell verso il suo popolo e le loro terre.
Ma a volte non sono solo le multinazionali, le grandi corporazioni con le loro pratiche di land grabbing e i regimi oppressivi a segnare la vita dei popoli indigeni. Spesso ad arrecare danno sono anche le stesse associazioni presunte ambientaliste, come ad esempio il WWF che con la sua opera di salvaguardia delle specie in via d’estinzione costringe numerosi popoli ad abbandonare le terre abitate da sempre.
Ma se specie come tigri, elefanti, rinoceronti etc. non si sono ancora estinte, molto lo si deve proprio all’operato di questi popoli indigeni, che attraverso il loro stile di vita rispettoso dell’ambiente e degli altri esseri viventi tutelano la loro vita.
Così assistiamo a situazioni come quella in India; la più recente, dove la tribù dei Baiga e Gond è stata bandita dal territorio abitato e costretta ad errare al di fuori della foresta.

I campi di concentramento così come erano ieri non esistono più, ma questo non toglie il fatto che attorno a noi ogni giorno si erigano lager contemporanei, figli di una presunta supremazia di una specie sulle altre.
Allevamenti animali dove vengono sacrificati quasi 60 miliardi di esseri viventi ogni anno a causa delle nostre scelte culinarie, culturali e della società in cui cresciamo, per non parlare dello sterminio che viene consumato in mare dove sono un trilione le creature ittiche a perdere la vita ogni anno; laboratori dove la sperimentazione animale viene perpetrata perché al mercato non interessa curarci definitivamente (dove starebbe il loro guadagno a lungo termine?), ma solo renderci meno sofferenti di tanto in tanto e sempre più dipendenti dai farmaci; e altri allevamenti ancora, nei quali gli animali sono rinchiusi e uccisi, in nome della vanità e della lussuria, per la loro pelle e la loro pelliccia.
Per non parlare di vere e proprie sbarre che ci vengono beatamente mostrate e per cui siamo disposti a pagare un biglietto, senza avere il minimo scrupolo (o forse sì? Ma se così, allora non pagatelo e ribellatevi): zoo, circhi, acquari, delfinari, corride, palii e parchi “divertimento” in genere dove numerosi animali vengono schiavizzati ogni giorno per creare sorrisi sulla base di sofferenza.

Questi sono solo alcuni degli stermini che ancora oggi nel mondo si consumano. Chissà quanti popoli, persone e specie scompaiono senza che se ne sappia nulla; noi abbiamo cercato di dare voce e memoria ad alcuni di loro.
L’articolo di oggi è dedicato alla Memoria, a quella di chi non è sopravvissuto agli orrori di settant’anni fa e a quella di chi oggi scompare nel silenzio di un’indifferenza figlia della distanza, che fa osservare solo ciò che succede sotto casa, e a volte neanche quello, facendoci voltare le spalle ai fatti sgradevoli che è più semplice ignorare.
Mentre la verità è che nessuno è realmente distante: siamo tutti abitanti dello stesso Pianeta e questo dovrebbe portarci a essere solidali e a sentirci vicini al prossimo, ovunque esso si trovi e a qualsiasi specie appartenga.

di S. Strummer