Inquinamento: una questione di responsabilità sociale

Le emissioni di gas serra sono a livelli record: un nuovo rapporto sul cambiamento climatico (Ipcc) presentato di recente a Berlino evidenzia come il tasso di inquinamento che avvolge il pianeta sia peggiorato nel corso dell’ultimo decennio.
Nonostante gli sforzi compiuti per limitare i danni, dice il rapporto, non si è giunti a risultati confortanti, che però possono essere raggiungibili nei prossimi decenni grazie a provvedimenti politici e tecnologici… E intanto?

Pechino (Cina), piazza Tienanmen: allestito un maxi schermo per ricordare ai cittadini cosa c’è oltre la cortina di smog. (foto: Internazionale)

Se siamo giunti a questo punto, buona parte della colpa è proprio da attribuire allo “sviluppo” tecnologico, alla sovrapproduzione, all’industrializzazione di ogni angolo verde del pianeta.

Ogni volta che si parla di emissioni di gas serra vengono mostrate foto inerenti al traffico cittadino. Certo, ci si sposta troppo, sempre più famiglie possiedono più di un mezzo, per non parlare del traffico provocato dallo spostamento di merci su gomma, rotaia e acqua.
Ma non serve la tecnologia per abbattere l’inquinamento da traffico, basterebbe spostarsi più intelligentemente, consumare prodotti locali valorizzando il chilometro zero, diminuendo così le importazioni da migliaia di chilometri di distanza. Privilegiare prodotti naturali, non lavorati, che non hanno subito processi industriali dannosi per la salute ambientale, ma anche per il consumatore stesso.

Vi sono poi aspetti che vengono spesso dimenticati o celati di proposito: le emissioni di gas serra provocate dal traffico cittadino sono pari al 13%, mentre quelle causate dagli allevamenti animali raggiungono il 18%.
Questo non deve significare sentirsi più sollevati o giustificati a spostarsi in macchina, moto o consumare prodotti provenienti dall’altra parte del mondo, ma deve servire a riflette sul costo reale della carne e dei derivati animali.
Il problema non risiede nelle emissioni di gas del singolo animale, ma nel modo in cui vengono allevati con i ritmi imposti dall’industria della carne. Gli allevamenti sono aumentati esponenzialmente, gli animali vengono fatti nascere a ritmi elevatissimi, fuori natura, tenuti rinchiusi in spazi stretti e ammassati gli uni sugli altri.
La condizione di nonvita alla quale vanno incontro sono alla base delle emissioni di gas serra provocate dagli allevamenti. Se gli animali non venissero schiavizzati, ma lasciati liberi di nascere, vivere e morire quando lo decide la natura, molti problemi sarebbero risolti.
Inoltre, non bisogna dimenticare il devastante fenomeno di deforestazione provocato dall’aumento degli allevamenti animali.
La scomparsa di oltre l’80% delle foreste tropicali dell’Amazzonia brasiliana sono da attribuire a questo fattore: immense aree convertite da bacini di biodiversità a monocolture intensive per la produzione di mais e soia destinati all’alimentazione degli animali.
Un ulteriore fattore poco menzionato quando si parla di emissioni di gas serra riguarda appunto il fenomeno del land grabbing: l’esponenziale scomparsa delle principali foreste tropicali, polmoni del pianeta, soppiantate dalle industrie e dalle produzioni intensive.
Sud America, Sud-Est asiatico e Africa subsahariana sono le zone della Terra maggiormente colpite dall’industria della carne, appunto, ma anche dalle monocolture intensive di mais, soia, canna da zucchero, eucalipto, girasole, cotone, olio di palma ecc.
Le pratiche di deforestazione favorite dalle varie multinazionali spesso sono gli incendi, appiccati appositamente per ottenere in tempo rapito vaste aree da poter colonizzare a livello industriale.
I roghi appiccati si susseguono a ritmi devastanti, quello che accade periodicamente nell’isola di Sumatra (Indonesia) è un drammatico esempio delle violenze di cui la Terra è soggetta.

Sumatra, estate 2013, gli incendi appiccati da Wilmar e Sime Darby.

Sumatra, estate 2013, gli incendi appiccati da Wilmar e Sime Darby.

Il 24 marzo scorso la regione di Riau di Sumatra è stata data alle fiamme per far spazio alle monocolture di palma da olio, una storia che era già andata in scena solo pochi mesi prima.
Nell’estate 2013 le foreste di Sumatra sono state bruciate tre volte solo tra giugno e agosto per lo stesso motivo grazie al volere delle multinazionali del settore Wilmar e Sime Darby. Il fumo che si sollevò dagli incendi fu così intenso da raggiungere la Malesia e Singapore, dove venne registrato un indice di inquinamento di 100 punti superiore ai limiti della soglia minima di allerta.

La soluzione alla morsa di inquinamento che sta soffocando il pianeta e ogni forma vivente, compresi noi stessi, non è nascosta in qualche, sempre discutibile, scelta politica dei vari governi o in trovate tecnologiche; la soluzione risiede nelle mani di ogni singola persona.
Se continuiamo ad accettare passivamente ogni decisione presa dal mercato e dai governi, a consumare i prodotti industriali, che essi siano convenzionali, bio o vegan, vomitati dalle multinazionali tanto per accaparrarsi ogni fetta di consumatori, se accettiamo di delegare qualcuno che al posto nostro compia atti di violenza nei confronti dell’ambiente e di altri esseri viventi, per capricci di gola o di moda, la situazione non potrà che peggiorare.
Ma se ci rendiamo conto che non è l’industria a comandare, che le decisioni delle varie corporazioni non vanno assunte come l’unica soluzione plausibile, se capiamo che sono tutte le scelte, piccole o grandi, che ogni singola persona compie nel quotidiano a fare la differenza, se capiamo che il cambiamento è nelle nostre mani, allora possiamo davvero ottenere grandi risultati, per il pianeta, per noi stessi, per ogni singola forma di vita.