RWM, Ghedi, Camp Darby: weapons welcome!

La politica, quella partitica, italiana dell’accoglienza spiegata in tre mosse.
I progetti che prevedono l’ampliamento di tre punti strategici in ambito di mercato degli armamenti sono l’emblema di come lo stato offra grande spazio al business della guerra, respingendo al contempo le persone che fuggono da quei conflitti alimentati e supportati dalla stessa industria italiana del settore.
Chiarito il ruolo centrale di Leonardo nei principali conflitti in Medio Oriente e non solo, il traffico di armamenti prodotti dall’ex Finmeccanica e da collaboratori di oltre oceano (Lockheed Martin su tutte) necessita dell’appoggio di basi per lo stoccaggio, l’assemblaggio e la rivendita degli stessi.
Allo scopo di “far fronte alle sfide del mercato internazionale e consolidare, così, il ruolo strategico della RWM Italia SpA”, il Gruppo Rheinmetall, la multinazionale tedesca che insieme a Nobel Sport e Alsetex si è aggiudicata anche il bando per la fornitura in Francia di veicoli militari anti-zadistes, ha approvato i lavori di ampliamento dello stabilimento di Domusnovas, in Sardegna.Progetto ampliamento fabbrica RWM Domusnovas
Stabilimento in provincia di Iglesias nel quale, già da anni, vengono prodotte le bombe Mk80 vendute all’Arabia Saudita e utilizzate nel conflitto in Yemen.
Grazie all’assegnazione di un bando di gara rilasciato dal ministero della difesa, anche l’aereo base militare di Ghedi di prepara ad un opera di ampliamento, in questo caso funzionale ad ospitare i 90 F-35 assegnati all’Italia dal Pentagono il 25 aprile 2018, mentre si celebrava la Liberazione dal nazifascismo.
Il progetto prevede la realizzazione di una nuova palazzina comando, un hangar per le manutenzioni e piccoli hangar per ospitare i nuovi F35, destinati a sostituire i vecchi Tornado.
Alle riqualifiche strutturali dello stabilimento di Domusnovas e della base di Ghedi, si aggiunge l’ampliamento di Camp Darby (in provincia di Pisa) il cui progetto non potrebbe esporre in modo più chiaro la stretta correlazione tra cultura della guerra e devastazione della Terra, allora scopo di limitare o azzerare la libertà di movimento e dell’esistenza stessa.
Ne è un esempio la barriera costruita dallo stato turco sul confine tra Siria e Turchia: un muro di 764 chilometri costato l’abbattimento di centinaia di ulivi.
Per far posto alle nuove infrastrutture richieste dal Pentagono, attraverso il progetto presentato dal subordinato ministero della difesa e approvato Comipar (comissione mista governo americano e italiano), l’ampliamento di Camp Darby prevede l’abbattimento di 937 alberi tra cui pini domestici, farnie, aceri, lecci, biancospino e olmi, per ragioni di sicurezza nazionale.
Il progetto, ritenuto strategico per la salute delle persone e la sicurezza pubblica, e il conseguente abbattimento degli alberi è funzionale alla costruzione di una linea ferroviaria di 2 chilometri e mezzo e la realizzazione di un ponte girevole sul Canale dei Navicelli, il tutto dedicato al trasporto di container, carichi di armi e munizioni.
Il Pentagono, avviando con estrema puntualità la sua personale campagna di greenwashing, giustifica il progetto promettendo la ri-piantumazione di 5.727 alberi, la demolizione e bonifica di alcune aree dismesse, come se la Terra fosse un Lego da smontare e rimontare a secondo degli interessi economici del momento.

RS

Fonti: ansa analisidifesa il giornaleil tirreno